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oltre un milione e mezzo di persone
vivono in tendopoli
Vita da sfollati ad Haiti
Port-au-Prince, 13. A sei mesi dal devastante terremoto che ha ucciso trecentomila persone, è ancora emergenza ad Haiti, dove oltre un milione e mezzo di sfollati, compresi più di ottocentomila bambini, vivono in tendopoli sulle quali incombe la minaccia dell'avvio della stagione delle piogge.
Ad allarmare particolarmente è proprio la condizione dei bambini. Anthony Lake, il direttore generale dell'Unicef, l'agenzia dell'Onu per l'infanzia, ha spiegato ieri che "il terremoto ad Haiti è stato un disastro per i bambini, e non è ancora finita". Lake ha comunque rivendicato il duro lavoro fatto ogni giorno ad Haiti "per salvare vite umane e per aiutare i bambini ad avere un futuro". Più di 275.000 bambini sono stati vaccinati. Programmi nutrizionali forniscono cibo a circa 550.000 bambini sotto i cinque anni e alle donne in allattamento e circa 2.000 bambini gravemente malnutriti ricevono cure specifiche e alimenti terapeutici. Circa 500.000 bambini hanno ricevuto materiale didattico.
L'impegno internazionale di assistenza sembra però subire rallentamenti e ritardi. "Dei cinque miliardi di dollari promessi dalle istituzioni economiche e finanziarie mondiali solo l'11 per cento finora è stato effettivamente trasferito ad Haiti. Sono soldi di cui abbiamo bisogno adesso, non tra due anni", ha detto ieri l'ambasciatore di Haiti in Italia, Geri Benoit, dicendosi preoccupata per l'impossibilità di fronteggiare i prevedibili problemi che la stagione delle piogge si accinge a provocare. E in effetti si tratta ormai di una corsa contro il tempo: la stagione degli uragani è alle porte e ad Haiti questo significa piene improvvise che trascinano con sé tende e case di fortuna.
del conflitto bosniaco
Per non dimenticare Srebrenica
Sarajevo, 10. Migliaia di persone stanno convergendo in queste ore a Srebrenica, la città simbolo dell'orrore del conflitto in Bosnia ed Erzegovina della prima metà degli anni Novanta, la città dove si consumò quindici anni fa il più atroce massacro conosciuto dall'Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale. Furono almeno ottomila, infatti, le persone trucidate in questa enclave musulmana della Bosnia orientale a suo tempo dichiarata dall'Onu "zona protetta", e che tra il 10 e l'11 luglio 1995 restò inerme di fronte all'offensiva delle milizie serbo-bosniache guidate da Ratko Mladic, tuttora ricercato dal Tribunale penale internazionale (Tpi) dell'Aja per l'ex Jugoslavia che lo ha incriminato per genocidio insieme con l'allora leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic, oggi invece assicurato al Tpi dopo molti anni di latitanza.
Da alcuni anni le celebrazioni dell'anniversario di Srebrenica si tengono nel sacrario di Potocari, a circa sei chilometri dalla città, dove riposano le spoglie di molte vittime della strage. Il sacrario fu costruito nell'ottobre del 2001, dopo una lunga resistenza da parte delle autorità della Repubblica serba di Bosnia, l'entità etnico culturale recepita insieme con la Federazione croato musulmana all'interno dello Stato unitario bosniaco internazionalmente riconosciuto in base agli accordi di Dayton del 1995.
Il luogo è quello dove migliaia di uomini di Srebrenica furono messi in fila e uccisi a raffiche di mitra centinaia alla volta, in giorni e giorni di mattanza. Fosse comuni sono state individuate anche a Cerska, in una piccola valle lungo la strada per Tuzla, piena di boschi fittissimi.
Furono catturati e uccisi anche quanti si erano rifugiati nella base - proprio a Potocari - dei caschi blu olandesi dell'Onu, che avevano a lungo e invano chiesto l'intervento della Nato e il cui comportamento è stato comunque duramente censurato da una commissione d'inchiesta del Parlamento olandese. Verso la base di Potocari si era diretta in massa la popolazione di Srebrenica nella notte tra il 10 e l'11 luglio. In un primo momento vennero lasciate entrare circa seimila persone, mentre altre migliaia arrivate più tardi non ebbero accesso. Il 12 luglio mattina, mentre era ancora in corso un incontro a Bratunac tra Mladic e una delegazione dell'Onu per trattare lo sgombero della base, le forze serbo-bosniache la circondarono e dal pomeriggio, mentre i caschi blu si ritiravano, cominciarono a separare e a deportare le donne e a uccidere uomini e ragazzi.
(©L'Osservatore Romano - 11 luglio 2010)