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Giubileo e debito dei poveri

5 dicembre 2024

C’è nell’avvicinarsi del Giubileo del 2025 una strana incuria istituzionale e comunicativa sul senso forse più proprio dell’avvenimento. Eppure a ricordarlo almeno a chi si dichiara cristiano basterebbe il Padre nostro: “… rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori…”. Lo stesso Gesù ci ha detto di pregare così e noi lo facciamo più o meno da duemila anni. A chiacchiere. Nei fatti ci sono nel mondo miliardi di persone affamate, assetate, prive di cure, schiavizzate di fatto dal peso spaventoso del debito internazionale dei loro Paesi.  Succede un po’ ovunque, ma la condizione peggiore resta quella dell’Africa. A chiarire bene la questione basta quanto affermato lo scorso giugno da Papa Francesco in un discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze e cioè che il tema del debito estero «investe i principi etici fondamentali e deve trovare spazio nel diritto internazionale»: 

Per capire meglio è utile un po’ di ricapitolazione storica. Nel periodo della almeno apparente decolonizzazione, in particolare negli anni Sessanta, sembrò che il nord del mondo riconoscesse il suo debito con l’Africa e fosse disposto a pagarlo, in aiuti e investimenti. Né a questo fu estranea l'azione della Chiesa, soprattutto con i missionari, che con il Concilio Vaticano II riscoprì pienamente il suo compito evangelico e sociale universale, dopo secoli di eurocentrismo non di rado macchiato da collateralismo con il potere coloniale. Si, quegli anni sembrarono una stagione di speranza per l'Africa. Ma già c'erano i germi di una nuova condanna al sottosviluppo, compresa la sottovalutazione della questione agricola, e quelli della guerra, responsabilità certo di classi dirigenti africane preda di corruzione e di bramosia di potere personale, ma anche e soprattutto di interessi stranieri che le ispiravano e le alimentavano. 

La guerra fredda e il suo strano equilibrio basato sulla deterrenza sostanzialmente congelarono la situazione, ma negli anni seguiti al crollo dell’Unione Sovietica è strutturalmente mutato lo scenario. La sconfitta del totalitarismo comunista non ha significato diffusione della democrazia, come in molti affermano pomposamente. Non c’è stata l’affermazione di condizioni ispirate al diritto internazionale, ma la diffusione sempre meno arginata di una finanzia predatoria che indirizza le scelte politiche, per non parlare della tecnologia e della produzione di armi delle quali si impone sempre più l’utilizzo.  Alla crisi debitoria degli anni Ottanta ancora si rispose con iniziative delle istituzioni internazionali, Fondo monetario e Banca mondiale, che condonarono circa cento miliardi di dollari di debito ai Paesi subsahariani a basso reddito. Ma subito dopo quegli stessi Paesi caddero nella trappola di sostituire il debito multilaterale a basso costo e lungo termine con un debito verso creditori privati – assicurazioni, banche, fondi di investimento – molto più oneroso e a breve termine.  

Questo ha imposto l’aumento progressivo dei costi “di servizio” (cioè i soli interessi annui), legato alle attività speculative sui mercati internazionali e la pretesa che per arginare il debito vengano attuate «senza se e senza ma» le concessioni per lo sfruttamento delle materie prime, unitamente alle privatizzazioni (soprattutto il land grabbing, vale a dire l’accaparramento dei terreni da parte delle aziende straniere). Si tratta di un affare colossale dato il forte deprezzamento delle monete locali, mentre i debiti si pagano in dollari o appunto in natura a prezzi fissati dagli acquirenti. 

Contro tutto ciò si mobilita la parte migliore delle società civili. In questo senso va per esempio la costituzione all’inizio di questa estate del Comitato per il Giubileo Ecumenico Globale, al quale partecipano Caritas Internationalis, diverse Caritas nazionali, organizzazioni cattoliche europee e nordamericane aderenti alla CIDSE, la Cooperazione Internationale per lo Sviluppo e la Solidarietà, e le similari strutture Latinidad in America Latina ed Eurodad in 28 Paesi del continente europeo. Per l’Italia è da citare la Carta di Sant’Agata dei Goti stilata da un gruppo di giuristi per sollecitare che la Corte di Giustizia dell’Aja si pronunci sui principi e sulle regole applicabili al debito internazionale, nonché al debito pubblico e privato.  Significativa anche la proposta della rete Link 2007, che associa alcune tra le più importanti Ong italiane, di convertire il debito in valuta locale, il che avvierebbe una dinamica virtuosa dato che quei soldi dovrebbero necessariamente essere spesi all’interno dei Paesi poveri sotto forma d’investimenti. 

© Popoli e Missione

 

 

 

 

La sfida dei Brics

Allargamento  e ricadute geopolitiche – Ruolo guida della Cina  – Le prospettive di un sistema finanziario alternativo – Ma l’ampliamento può comportare rischi per la coesione del gruppo dati gli irrisolti contrasti tra alcuni membri

Parole chiare e parole chiave

7 settembre 2024

«Non si può pensare che l’economia abbia bisogno delle banche», intese come banche d'affari, perché farlo equivale a un «errato sistema economico che ha dimenticato l’uomo e la sua dignità». Sono parole chiare in giorni in cui alla politica si richiederebbero parole chiave.   Perché in questi tempi di incertezza e persino di non speranza nel futuro c'è necessità di discernere il bene dal male non solo nei comportamenti personali, ma anche nell'analisi del contesto storico che attraversiamo e delle vicende che impongono alla nostra vita direzioni e condizioni spesso incontrollabili. C'è bisogno, cioè, di visione e di idealità, che è cosa diversa dalla degenerazione ideologica di qualunque segno.

Ma quelle parole, non sono della politica. Le pronunciò infatti un vescovo italiano, Mario Toso, oggi alla guida della diocesi di Faenza-Modigliana, diversi anni fa, quando era segretario (numero due) del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, un dicastero vaticano. A tanti sedicenti laici – in realtà anticlericali in ritardo sulla storia -  farebbe bene ascoltarle. E magari uscire dallo schema di una presunta corrispondenza tra identità cattolica e collocazione politica tra i sedicenti difensori del trinomio Dio, Patria, Famiglia. Perché oggi c'è bisogno di un riformismo autentico, di sistema e non solo di contingenza, un riformismo capace di essere radicale sulle basi della convivenza civile.  E in questo i cattolici non possono essere meno determinati di tanti presunti progressisti.

«Se non sono gratuiti   i sistemi economici e il bene comune diventano un male pubblico. Se c'è una cosa che caratterizza il sistema finanziario e monetario moderno è che è diventato una forma di capitalismo addirittura più retrivo di quello dell’800. In quel periodo, infatti, le persone erano cose, oggi, invece, sono addirittura ignorate». Anche queste sono parole del vescovo Toso.  E ancora: «La crisi economica che stiamo vivendo non è quella tempesta leggera e momentanea che ci si vuole proporre, ma appare senza fine e rimarrà tale, perché è soprattutto di tipo entropico. Occorre cessare la speculazione che si fa dell’uomo e della società e aprire le coscienze all’attuazione di sistemi finanziari che si basino sul concetto di democrazia».

Per opporsi alla finanza speculativa che non conosce confini, né teme più di tanto controlli a livello statale, occorre un salto di qualità anche nel ripensare le istituzioni cosiddette di Bretton Woods (Fondo monetario internazionale e Banca mondiale). Queste infatti hanno progressivamente perso il mandato e la vocazione universale di garantire uno sviluppo economico adeguato in modo da ridurre le situazioni di povertà e di disuguaglianza, che anzi hanno in non pochi casi aggravato. Lo stesso discorso può farsi sul piano dei consessi governativi. Per esempio, il G20 è certamente un passo in avanti rispetto al precedente G8, oggi G7 con l’espulsione della Russia, ma non può essere ritenuto rappresentativo di tutti i popoli e manca di una legittimazione e di un mandato politico democraticamente controllabile. E meno ancora, in questo senso, conta il G7.

L'uscita dalla crisi mai davvero affrontata richiede determinazione nel perseguire gli obiettivi, compreso quello di restituire alla politica il suo primato sull’economia e sulla finanza, per ricondurre queste ultime alle loro reali funzioni, prima tra tutte quella sociale.

Il primo passo potrebbe e dovrebbe essere la tassazione delle transazioni finanziarie, mediante aliquote eque, ma modulate con oneri proporzionali alla complessità delle operazioni, soprattutto in quelle che si effettuano nel cosiddetto mercato secondario, meno trasparente. Le risorse di una tale tassazione andrebbero destinate a promuovere lo sviluppo globale e sostenibile, secondo principi di giustizia sociale e di solidarietà.

Ma soprattutto è necessario un impegno a separare le banche in senso proprio e società finanziarie speculative, riservando solo alle prime il sostegno pubblico, dietro obbligo di uscire dai sistemi di finanza tossica. Se un compito ha oggi la politica, un compito che interpella tutti, ma in particolare l’Europa e in essa l’Itali, chiamate a ricordare la loro identità fondante di culla dello Stato sociale, è quello di esprimere una volontà reale di condizionare il sostegno pubblico alle banche, anche con forme di ricapitalizzazione, a comportamenti virtuosi per sviluppare l’economia reale. Cioè di non consentire più che siano solo o principalmente il denaro, la cupidigia, il falso mito del mercato a determinare il destino dei popoli.

L'Africa del Dio diviso

Cos’è peccato?

20 agosto 2024

Il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, qualche giorno fa al Meating di Rimini, ha detto in sintesi, tra l’altro, che gli interessi sul debito pubblico italiano equivalgo più o meno alla spesa nazionale in istruzione e ha aggiunto o che per ridurre tale debito è indispensabile aprire le frontiere a milioni di lavoratori immigrati. Non credo di forzare la notizia se mi spinge a qualche considerazione su un tema che esula gli aspetti strettamente contabili, quello del peccato, di solito non troppo approfondito negli strumenti di comunicazione per l’opinione pubblica.  Peccato è una parola difficile da definire. In generale potremmo dire che secondo tutte le grandi religioni è ciò che contrasta il progetto di Dio per l’uomo. Per quanti – e soprattutto nei Paesi dell’opulenza – religiosi non sono, potrebbe sintetizzarsi nell’egoismo di chi fa pagare ai più deboli i propri privilegi. Nella definizione della dottrina della Chiesa cattolica i peccati sono “catalogati” in diverse categorie. In questa sede limitiamoci a contestualizzare nella realtà attuale i quattro che secondo la Chiesa gridano vendetta – o meglio le cui vittime gridano vendetta – al cospetto di Dio.  Sono i peccati sessuali contro natura, l’omicidio volontario, togliere il giusto compenso al lavoratore, l’oppressione del povero. In questo il magistero ecclesiale ha prodotto importanti approfondimenti che risultano evidenti nella Dottrina sociale della Chiesa (ricordando che su questi temi l’aggettivo è essenziale). Sul primo e più in generale sull’identità e sui comportamenti della sfera sessuale basti dire che è passato molto tempo dalla prassi confessionale preconciliare quando persino i bambini nella quasi totalità dei casi erano sottoposti a stringenti interrogatori in merito.

Gli altri tre andrebbero letti sinotticamente, perché in sostanza le tragedie che provocano sono strettamente collegate. L’omicidio volontario non è questione solo individuale, ferme restando le responsabilità personali in qualunque delitto, ma chiama in causa la guerra e l’uso indiscriminato delle armi, tenendo presente la mai abbastanza citata opinione di Papa Francesco sul fatto che le guerre si fanno per vendere le armi.  Per inciso, per quanto riguarda l’Italia, quest’anno supererà per la prima volta i 29 miliardi di euro, con una crescita del 5,1% rispetto al 2023 e del 12,5% in due anni. E per cosa si spendono non è chiaro, dato che l’Italia è l’unico Paese a non rendere pubblici, per esempio, quali armamenti fornisce all’Ucraina.  

Negare il giusto compenso al lavoratore chiama in causa la sempre maggiore incuria dell’economia reale devastata da un liberismo da tempo asservito allo strapotere della finanza predatoria che ne trae profitti indecenti e di fatto truffaldini. L’Europa e in essa soprattutto l’Italia, un tempo ciulle dello Stato sociale, consentono da anni lo svuotamento dei diritti del lavoro, sempre più precarizzato e privato di quelle garanzie costate sudore e fatica alle generazioni del dopoguerra, con contratti che non garantiscono nulla, senza l’obbligo di retribuzione decente, per esempio con un salario minimo garantito che non consenta, come in Italia, di spacciare il lavoro povero per aumento dell’occupazione. E chi il lavoro non lo trova comunque viene tacciato di essere un fannullone da chi percepisce appannaggi favolosi senza di fatto mostrare di meritarseli.

L’oppressione del povero cresce ovunque nel mondo con il venir meno dei punti fondamentali della convivenza civile, valga per tutti il finanziamento prioritario della sanità pubblica, con stanziamenti proporzionali al prodotto interno lordo e non con pochi soldi spacciati per aumento della spesa pubblica nel settore. Senza un sostegno al bisogno di effettiva incidenza, come esiste del resto quasi in ogni Paese europeo, ma non nel nostro, dove era stato finalmente introdotto, ma è stato cancellato con motivazioni convincenti solo per chi nel bisogno non è mai stato. Senza un sistema fiscale equo, cioè progressivo e controllato davvero, senza ammiccamenti ai potentati finanziari, a quanti realizzano guadagni immensi sottoposti a tassazioni nulle o irrisorie, e neppure agli evasori di minore ma comunque significata rilevanza.

Il Prodotto interno lordo (Pil) è una fotografia di questa situazione. Non trova invece spazio adeguato nell’informazione quel Prodotto sociale lordo (Psl), pure misurabile e misurato, che racconta i vantaggi della pace, del lavoro non schiavizzante, della lotta alla miseria. Un paio di dati lo spiegano bene. Del Pil mondiale le guerre assorbono oltre 14% e sottraggono alle necessità delle popolazioni oltre 15 trilioni di dollari (in cifra si scrive 10 seguito da dodici zeri). La sola spesa diretta in armamenti, in continua crescita nell’ultimo ventennio, nel 2023, ultimo dato accertato dal Sipri di Stoccolma (Istituto di studi sulla pace tra i più prestigiosi e attendibili al mondo) è stata di 2.443 miliardi di dollari, per quasi il 60% da Paesi della Nato, seguiti da Cina e Russia che insieme non raggiungono la metà della cifra statunitense. E risulta già evidente che nel 2024 la guerra in Ucraina e quella a Gaza hanno aumentato la spesa, dato che le altre guerre non si sono certo fermate.

La cifra significa più o meno 6,7 miliardi al giorno. Circa 150 miliardi, 22 giorni di spesa in armi, secondo le stime della Banca Mondiale garantirebbero acqua potabile e servizi igienico-sanitari di base a quanti nel mondo non ne hanno, oltre due miliardi di persone, riducendo drasticamente le malattie, soprattutto infantili, e per inciso contenendo in modo significativo il fenomeno migratorio. Con 267 miliardi di dollari in più l’anno, spesi per le armi in una quarantina di giorni, secondo l’Onu, si metterebbe fine alla fame nel mondo entro il 2030.

Sulle questioni italiane, basta citare un dato solo: il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza nei 57 mesi in cui sono stati in vigore (aprile 2019-dicembre 2023) hanno erogato 34,5 miliardi di euro, più o 1,2 milioni al giorno nella media del periodo. A fine 2024 gli italiani avranno speso, euro più euro, 79 milioni e mezzo al giorno per mandare armi in giro.