5 novembre 2024
L'ingresso quest'anno di cinque nuovi Paesi (Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) nel Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) prospetta mutamenti geopolitici rilevanti soprattutto per l’obiettivo dichiarato di sottrarsi al potere finanziario occidentale tuttora prevalente. A determinare questo sviluppo sono stati soprattutto due Paesi, Cina e Russia, e tre aspetti: la ormai predominante finanziarizzazione dell’economia liberista, lo spostamento anche e forse principalmente sul piano militare della prassi egemonica occidentale, soprattutto con la Nato, il progressivo degrado della rilevanza dell’Onu e dei principi di multilateralismo, con conseguenze pesanti per la causa della pace.
Già all’inizio del secolo in molti prevedevano che i quattro Paesi dell’acronimo Bric - coniato nel 2001 dall'economista Jim O'Neill e diventato Brics con l’ingresso del Sudafrica nel 2010 – avrebbero dominato l’economia globale entro il 2050, per tre fattori: imponenti risorse naturali strategiche, forte crescita del Prodotto interno lordo (Pil), quota rilevante del commercio globale. L’allargamento di quest’anno rafforza quella previsione: i Brics hanno 3,7 miliardi di abitanti, il 47% della popolazione mondiale, e una quota del 32% del Pil globale, con un potere d’acquisto paragonabile a quello dei Paesi industrializzati del G7. E il processo è destinato ad ampliarsi entro la fine dell’anno con le risposte alle richieste di adesione di Bangladesh, Bahrein, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Honduras, Indonesia, Kazakistan, Kuwait, Nigeria, Senegal, Thailandia, Venezuela, Vietnam e dall’Autorità nazionale palestinese.
A questa forza nel commercio e nell’economia reale si aggiunge non solo l’intenzione, ma la ormai concreta possibilità di scardinare i meccanismi della finanza internazionale consolidati da ottant’anni dal liberismo a guida occidentale, sancito negli statuti delle strutture nate dagli accordi di Bretton Woods, Banca mondiale e il Fondo monetario Internazionale (Fmi), ma anche nell’Organizzazione Mondiale del Commercio. I Brics non intendono più accettare nei forum internazionali una rilevanza inadeguata al loro peso economico. Basti pensare che la Cina, con un Pil pari al 16% di quello globale, detiene una quota di voto solo del 5% nel principale canale di prestito della Banca mondiale. Per non parlare del Fmi nel quale gli Stati Uniti detengono il 60%.
Di qui la scelta di puntare su proprie strutture alternative. La prima fu la New Development Bank, oggi guidata dall’ex presidente brasiliana Dilma Rousseff, ideata nel 2014 con l’obiettivo di finanziare le infrastrutture e lo sviluppo sostenibile nei mercati emergenti, ma anche in quelli oggi meno competitivi. A questo e agli altri nuovi circuiti analoghi potrebbe aderire oltre la metà del mondo. Né va sottaciuto che la gran parte del debito statunitense è in mano alla Cina. Massicce immissioni di dollari sul mercato, soprattutto se sotto forma di prestiti senza interessi alle economie meno sviluppate, favorirebbero queste e creerebbero seri problemi di svalutazione agli Stati Uniti.
Quanto alla questione, possibile, che un serrato confronto commerciale e finanziario possa tracimare in uno scontro militare, c’è da sottolineare che, nonostante i riferimenti insistenti dall’una e dall’altra parte nel conflitto in Ucraina - la Russia in proprio e la Nato, diciamo, per procura - nessuno dimentica che sia nel G7 sia nei Brics ci sono potenze nucleari.
Sono però da considerare anche quei fattori geopolitici che spingono diversi osservatori occidentali a non considerare l’allargamento dei Brics una minaccia e anzi a ritenere che potrebbe addirittura indebolirli, dato che gli irrisolti problemi tra i nuovi membri finirebbero per ostacolare un’azione coesa del gruppo, nonostante l’indubbio ruolo guida cinese e in sottordine russo. Tra gli esempi ci sono l’aspra controversia tra Etiopia ed Egitto sulla maxi-diga costruita da Addis Abeba sul Nilo Azzurro, le pluridecennali tensioni fra Arabia Saudita, capofila del mondo arabo-sunnita, e l’Iran, che arabo non è, ma di certo guida lo sciismo islamico; l’appartenenza a fronti contrapposti sullo Yemen. Né mancano problemi tra gli stessi fondatori dei Bric, come la contesa sul confine tra Cina e India nella zona himalayana di Tawang nell’Arunachal Pradesh.
Si diceva un tempo che il potere di governare i popoli cammina su tre gambe: la spada, cioè la forza militare, la moneta, cioè la forza economica, e la bandiera, cioè la diplomazia. Di spada e di moneta abbiamo detto. Resta da fare solo un accenno alla bandiera, alla diplomazia che sembra aver perduto rilievo, soprattutto nel suo scopo fondamentale di impedire le guerre o almeno di fermarle quanto prima. In un mondo comunque interdipendente, ricostituire contrapposizioni tra blocchi supererebbe le minacce vissute durante la guerra fredda. L’unico strumento per impedirlo è quello da tempo abbandonato, cioè il multilateralismo, con efficaci riforme dell’Onu che restituiscano all’unica istituzione globale incidenza, autorevolezza e magari autorità.
Cina, Brics e scacchiere africano
Il Forum sulla Cooperazione Africa-Cina (FOCAC), nella sua plenaria triennale di questo settembre a Pechino, non ha solo confermato la posizione egemone cinese nei rapporti commerciali con i Paesi africani, ma ha meglio definito le strategie finanziarie che i Brics intendono adottare in quel continente e non solo. Strategie che si sono consolidate anche a seguito delle sanzioni e del blocco dei capitali all’estero imposti dai Paesi occidentali alla Russia, decisione che peraltro almeno finora ha provocato più problemi a chi l’ha presa, in particolare agli europei, che a Mosca.
Il punto di fondo, comunque, resta che le transazioni finanziare mondiali sono state sempre gestite attraverso lo SWIFT, il sistema bancario internazionale sostanzialmente a controllo occidentale. In merito, la novità più rilevante emersa dal summit del FOCAC è il dichiarato impegno, in linea con l’indirizzo impresso dai Brics, di estendere l’uso di due piattaforme di pagamenti internazionali alternative, la Pan-African Payment and Seattlement System e la Cross-border Interbank Payment System (CIPS) della Cina.
In sintesi si tratta di consentire l’uso delle valute locali africane nei commerci per ora con la Cina e in prospettiva con gli altri Brics, oltre che in quelli interni al continente. Per i Paesi africani ciò ridurrebbe il peso del debito estero, cresciuto spaventosamente nell’ultimo trentennio, quando quasi tutti sono caduti nella trappola di una finanza predatoria che ha via via sostituito il credito internazionale multilaterale e a lungo termine, con quello dei privati (banche, assicurazioni, fondi d’investimento e soggetti simili) a breve termine, molto più oneroso e legato alle speculazioni sui mercati, tradotte in interessi di fatto da usura. (p.n.)
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