8 giugni 1027Alla vigilia di un voto la gran parte della stampa – tolta qualche testata che ama definire neutralità il proprio cerchiobottismo – è solita prendere posizione o almeno farla capire. Come giornalista e direttore responsabile di questa testata non intendo sottrarmi da esprimere la mia nell’immediata vigilia del voto per rinnovare il Parlamento europeo. Lo faccio premettendo due aspetti, uno di stretta attualità e uno di sia pur sommaria indicazione storica.
Il primo riguarda il sistema di voto. Quello per il Parlamento europeo è l’unico – assenteismi a parte e a parte la soglia di sbarramento al 4% che inevitabilmente priverà qualcuno del diritto di tribuna – a restituire proporzionalmente la reale composizione degli elettorati. Per stare al solo esempio italiano, le ultime elezione politiche, grazie a una legge maggioritaria forsennata, per non dire truffaldina, hanno dato una schiacciante maggioranza parlamentare a una coalizione di partiti che ha ottenuto meno della metà dei voti espressi e cioè, data l’altissima e ormai solita diserzione delle urne da parte di cittadini che della classe politica non si fidano più, neppure un quarto dei consensi degli aventi diritto al voto. Il che – balle propagandistiche a parte – li incoraggia a due iniziative che, in caso di successo da un lato, con la elezione diretta del capo dell’esecutivo, vanificherebbe il bilanciamento dei poteri, fondamento di una reale democrazia come quella disegnata dalla nostra Costituzione, dall’altro, con la cosiddetta autonomia differenziata, darebbe un colpo mortale ai principi di solidarietà nazionale.
Il secondo aspetto, quello di memoria storica, sta nel ricordare che l’idea fondante di un’Europa dei popoli e non del conquistatore di turno, nasce con il socialismo europeo e con la contemporanea teorizzazione propria del cattolicesimo democratico che pure all’epoca non partecipava attivamente alla vita politica italiana per la “questione romana” seguita alla perdita del potere temporale del Papa (che la storia si è incaricata di rivelare provvidenziale). Sta nel ricordare che la sua prima espressione programmatica fu il Manifesto di Ventotene, scritto in quell’isola dove erano detenuti gli avversari del criminale regime fascista, da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni nel 1941, nel pieno della guerra mondiale scatenata dalle feroci dittature di Berlino e di Roma.
Sta nel ricordare che nell’Europa liberata dal nazifascismo furono tre leader cattolici, il francese Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauerr, ’italiano Alcide De Gasperi.
Erano tutti e tre di lingua tedesca quasi madre (Schuman era nato in Lussemburgo nel 1886, ma il padre era lorenese e all’epoca Lorena e Alsazia appartenevano alla Germania, quindi fino ai trent’anni era stato cittadino tedesco e francese lo diventò alla fine della prima guerra mondiale;
De Gasperi era nato nel 1891 in Trentino, all’epoca parte dell’impero austro-ungarico e italiano lo diventò anche lui nel 1918). Tutti e tre erano stati perseguitati dalle dittature che per un ventennio avevano schiacciato l’Italia e per un decennio la Germania, sfociando nello sterminio sistematico di ebrei, nomadi, omosessuali, oppositori politici e precipitando il continente nella mattanza della guerra.
Pensiamoci bene tutti prima di votare. Pensiamo, noi italiani, se affidarci a quelle posizioni politiche dalle quali è nata la nostra Costituzione figlia della Resistenza e dell’antifascismo o a chi antifascista non può e non vuole dichiararsi. Se vogliamo un’Europa democratica, con il potere affidato al popolo e con le garanzie delle minoranze e dei diritti umani, o un’accozzaglia di interessi di miope visione localista, se vogliamo un popolo europeo democratico e sovrano o piccoli egoistici popoli seguaci di capetti o capette di turno.
Pensiamo soprattutto, in questa fase, se vogliamo credere nel progetto di un’Europa più coesa sui punti fondamentali della convivenza civile, il finanziamento prioritario della sanità pubblica, con stanziamenti sulla base del prodotto interno lordo continentale, senza distinguo a favore delle strutture private. Con l’obbligo di retribuzione decente del lavoro, un salario minimo europeo che non consenta a nessuno – e ora l’Italia è tra questi – di spacciare il lavoro povero per aumento dell’occupazione. Con un sostegno al bisogno di effettiva incidenza, come esiste del resto quasi in ogni Paese dell’Unione, ma non nel nostro, dove era stato finalmente introdotto, ma è stato cancellato con motivazioni convincenti solo per chi nel bisogno non è mai stato. Con un sistema fiscale equo, il che significa progressivo, e controllato davvero, senza ammiccamenti ai potentati finanziari, a quanti realizzano guadagni immensi sottoposti a tassazioni nulle o irrisorie, e neppure agli evasori di minore rilevanza.
E per gli eletti italiani chiediamo – e verifichiamone il rispetto – di non distaccarsi dal dettato costituzionale che ripudia la guerra come strumento di soluzione dei contrasti tra Nazioni. E mi sentirei di aggiungere che il ripudio vale per le guerre in proprio e per quelle per procura.
Chiediamo un’Europa che cooperi sulle grandi sfide mondiali, a partire da quelle su clima e ambiente, con tutti i Paesi del mondo, a Est e soprattutto a Sud, e non guardi solo a Ovest, appiattita in un’alleanza che da almeno 35 anni non ha più nulla di difensivo.
Il mio voto vale ovviamente per me, ma pure sento il dovere di comunicarlo pubblicamente ai miei lettori, per pochi che siano. Voterò per Marco Tarquinio, candidato indipendente nelle liste del Partito Democratico (e indipendente nel suo caso non è una parola vuota), una delle firme migliori, delle menti più lucide, delle coscienze più limpide, delle schiene più dritte del giornalismo cattolico. E sono ragionevolmente sicuro che non solo Spinelli, Rossi e Colorni, tutti di area socialista o azionista, ma lo stesso De Gasperi oggi farebbe come me, che del resto conosco abbastanza i suoi eredi per ritenerli d’accordo.