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Somalia senza pace



Il vertice dell'Unione africana a Kampala

La crisi in Somalia
questione continentale


 

di Pierluigi Natalia

La XV assemblea ordinaria dei capi di Stato e di Governo dell'Unione africana, in programma da domenica a martedì nella capitale ugandese Kampala, di ordinario ha ben poco, se non nell'accezione negativa che tale termine assume in un continente che registra le più gravi emergenze dell'umanità, dalla guerra al sottosviluppo, dalle malattie alle devastazioni ambientali.
Tra i temi principali ci sono la salute di mamme e gestanti e quella dei neonati e dei minori, oltre a quello dello sviluppo sostenibile dell'Africa a fronte delle sfide interne, della crisi globale e delle potenzialità di un continente che cerca di guardare al suo futuro in un'ottica di unità.
Tuttavia, questi argomenti, e la professione di ottimismo mostrata alla vigilia da molti partecipanti al vertice non potranno cancellare i temi relativi alla sicurezza del continente con particolare riferimento ad alcune aree di crisi. Vale per l'evoluzione politica in Niger, Madagascar e Guinea, paesi che hanno di recente sperimentato pronunciamenti militari e che stanno affrontando la crisi politica che ne è seguita in modi e tempi diversi. Vale per le annose questioni del Sudan e della regione dei Grandi Laghi. Vale soprattutto per la Somalia.
Come detto, alla vigilia dell'incontro a Kampala non sono mancate prese di posizione improntate a ottimismo. In queste si è iscritto l'intervento fatto dal presidente della Commissione dell'Unione africana, Jean Ping, durante la riunione preparatoria tenuta dai ministri degli Esteri. Secondo Ping, infatti, l'Africa è un continente in cammino, nonostante la crisi economica internazionale, il ritardo infrastrutturale e i vari conflitti irrisolti. Le affermazioni di Ping fanno riferimento in particolare al contesto economico, in considerazione del fatto che negli ultimi due anni le economie del continente "hanno mostrato una notevole capacità di resistenza" e hanno ora "un futuro promettente". Ancora una volta, peraltro, Ping ha ribadito la cruciale necessità di sviluppare le reti infrastrutturali un obiettivo al quale da tempo l'Unione africana dedica attenzione e risorse, nella convinzione che la mancata realizzazione e l'insufficiente rafforzamento di infrastrutture - dalle stradali, ferroviarie, marittime, a quelle idriche ed elettriche, per arrivare a quelle telematiche - sia oggi il principale ostacolo alla crescita africana.
A giudizio di molti, anche lo scarso contributo dell'Africa al commercio internazionale (il continente influisce solo per l'1 per cento sulla mole di scambi planetari) sarebbe da imputare proprio all'assenza di infrastrutture e a politiche commerciali antiquate che ostacolano sia il commercio interno al continente che quello internazionale. Sotto questo aspetto ci sarebbe da discutere, dato che allo strangolamento commerciale dell'Africa non sono certo estranee le regole imposte dal nord ricco del mondo, dato che un commercio veramente paritario ridurrebbe di gran lunga i guadagni determinati dalla moltiplicazione artificiosa dei bisogni per aumentare i consumi a basso costo delle società avanzate.
In ogni caso, a ostacolare gli obiettivi di sviluppo restano i conflitti politici e sociali. Sebbene Ping e altre voci continentali sottolineino una dinamica tutto sommato positiva nell'ultimo quinquennio, almeno rispetto agli anni precedenti, i problemi irrisolti restano molti. Tra questi, sarà la crisi somala ad avere particolare attenzione nella riunione nella capitale ugandese. Tra i temi in discussione, infatti, c'è il rafforzamento dell'Amisom, la missione dell'Unione africana in Somalia, probabilmente con una diversa definizione del mandato. In questo senso ha espresso auspici anche Ping, che ha fatto altresì riferimento agli attentati dinamitardi che l'11 Luglio hanno causato più di settanta vittime proprio a Kampala. Come noto, gli attentati in questione sono stati rivendicati da al Shabaab (gioventù, in arabo), il gruppo radicale islamico che guida l'insurrezione contro il Governo somalo, proprio come ritorsione per la partecipazione all'Amisom di soldati dell'Uganda, finora unico Paese insieme con il Burundi a fornire contingenti alla missione.
L'Amisom, inizialmente ipotizzata in 20.000 uomini, da anni è ferma a non più di 4.000 soldati. Da questo vertice dovrebbero uscire novità:  Ping, ha annunciato che la Guinea è pronta a inviare un battaglione di rinforzi a Mogadiscio e anche Nigeria, Zambia, Senegal e Ghana starebbero valutando l'invio di propri soldati.
La questione del rafforzamento dell'Amisom, peraltro, non ha aspetti solo militari, ma anche politici. Negli ultimi giorni, l'agenzia di stampa satatunitense Associated Press ha riferito di una serie di rapporti interni dell'Unione africana con accuse ai militari dell'Amisom di aver effettuato più volte bombardamenti indiscriminati in aree residenziali di Mogadiscio. I rapporti prospettano che la missione potrebbe presto perdere il sostegno anche di quella parte della popolazione contraria all'insurrezione. Di fatto, nella capitale somala i civili sono da anni le principali vittime del fuoco incrociato tra gli insorti e le forze governative appoggiate dall'Amisom.
Secondo alcuni osservatori, la crescente aggressività delle milizie di al Shabaab ha spinto i contingenti dell'Amisom - che ancora questa settimana hanno avuto due soldati uccisi - a reagire spesso con modalità giudicate eccessive. Tutto ciò potrebbe avere un peso sulle decisioni che si prenderanno a Kampala. Diverse fonti, oltre alla revisione del mandato dell'Amisom, per consentirle di aumentare il sostegno alle forze governative nel contrastare l'opposizione armata, ipotizzano addirittura la messa a punto di un nuovo piano di battaglia per riportare sotto controllo la situazione in Somalia, giudicata sempre più una minaccia per tutta l'Africa.
 


(©L'Osservatore Romano - 25 luglio 2010)

Mare e lilosofia

 

 

La filosofia del mare
(visto da terra)


 

            di Pierluigi Natalia

Ci sono profondità e leggerezza, nel saggio Piccola filosofia del mare di Cécile Guérard, pubblicato nel 2006  dalle Éditions des Équateurs, e proposto ora ai lettori nella traduzione di Leila Brioschi (Milano, Guanda, 2010, pagine 123, euro 12,50). Profondità perché  da Talete a Nietzsche il pensiero dell'uomo al cospetto del mare è riportato con riferimenti puntuali e con collegamenti all'esperienza quotidiana mai banali. Leggerezza  (non a caso il titolo originale parla di Philosophie légère de la mer, appunto légère, non petit) perché i pur numerosissimi  riferimenti e le pur diversificate riflessioni dell'autrice si posano sul lettore senza schiacciare. Le citazioni e le deduzioni che l'autrice ne ricava avvolgono e sostengono, come appunto può fare l'acqua di un bagno marino, il modo di esprimere  — e magari di incontrare — se stessi. Proprio questo modo e questa misura riempiono più di tutto il volumetto, al punto che sorprende l'assenza, tra le tante citazioni, del «conosci te stesso», il monito inciso sul tempio di Delo, l'isola che origina il pensiero greco e la storia dell'Occidente.

«Arrotolare il mondo intorno alle dita come una donna che gioca con un nastro mentre sogna affacciata alla finestra»: Guérard pone questa frase di Fernando Pessoa, il poeta delle odi marine, nel prologo alle sue riflessioni. Ma quella donna l'immagina appoggiata a una balaustra dipinta da Pierre Bonnard, sulle cui colonne si arrotola il mare (e la pittura del mare ritornerà a scandire ogni pagina del libro). «Soltanto il mare come orizzonte permette che la frase s'involi — scrive  Guérard —. Le vie dell'immaginazione e del pensiero possono allora srotolarsi senza intralci, a perdita d'occhio. È così: il mare s'impone come un'evidenza».

            Da questa evidenza muove l'autrice per la sua associazione, che pure riconosce insolita, tra mare e filosofia. Del resto, «il mare e la filosofia condividono lo stesso movimento», scrive Guérard, ricordando che la filosofia è nata anche sotto il segno dell'acqua, sulle rive dell'Egeo e dello Ionio. Per Talete l'elemento liquido   è  il principio del mondo. Per Eraclito l'acqua del mare è segno di contraddizione, salutare per i pesci, mortale e imbevibile per gli uomini. Per Platone, che vive nel declino dell'impero marittimo di Atene, il mare è simbolo di hybris, di  eccesso da condannare a beneficio dell'armonia e della stabilità.

            Così come il mare è presente nel pensiero   dell'età moderna, spesso come allegoria dell'illusione metafisica «dove il senso si perde e la coscienza s'inabissa», scrive Guérard. Da Kant, per il quale il paese della verità è un'isola in un tumultuoso oceano; a Nietzsche, che insiste sul silenzio del mare e chiama ipocrita la sua muta bellezza; fino a quelli del xx secolo, come  Foucault, che nel mare legge insignificanza e  perdita di senso, i pensatori si fanno interpellare dal mare che Omero chiama inseminato e che pure è fecondo. 

            Guérard compone un mosaico al quale convoca a fornire tessere molti autori, dai filosofi ai pittori agli scrittori come Hugo, Sartre, Michelet, Micchaux, Bachelard, Hemingway.  Ma soprattutto fa della  meditazione sul mare riflessione sulla vita. All'evidenza del mare, l'autrice riconosce una saggezza intrinseca che stimola il pensiero. Così come la filosofia, a immagine del mare, «elude e polverizza il solido, il radicato, il pregiudizio, l'imperturbabile, il conformismo e la comodità». Nella visione di Guérard un bagno o una passeggiata sulla spiaggia si fanno rigenerazione e salvezza, liberano dai pregiudizi e persino dal narcisismo, guariscono e sollevano dall'angoscia, compongono una sinfonia meditativa che spinge insieme al sogno e alla riflessione, cioè all'esercizio del pensiero.

            Un bagno in mare. Una passeggiata sulla spiaggia. Se un limite può trovarsi a un libro che avvince subito e non si riesce a lasciare prima di averlo terminato, forse è proprio in questo: nel  guardare  il mare dalla terra, nell'assenza del punto di vista elettivo di guardare la terra dal mare. L'autrice scrive da terra. Le manca forse un senso  proprio del viaggio —  anche  quello del pensiero — che per mare  si definisce con la rotta. Perché se per terra si può viaggiare senza meta, se il nomadismo può essere persino misura e strumento di libertà, per mare questo non è consentito: senza rotta, senza la tensione verso il porto, c'è solo deriva e, spesso, naufragio.

 (©L'Osservatore Romano - 22 luglio 2010)

Diamanti e sanzioni



Annuncio del Governo

 

Lo Zimbabwe nazionalizzerà
i giacimenti di diamanti


Harare, 16. Il Governo dello Zimbabwe ha deciso la nazionalizzazione di tutti i giacimenti alluvionali di diamanti presenti nel Paese, secondo quanto annunciato ieri dal ministro delle Finanze Tendai Biti, che ha riferito in Parlamento sugli sviluppi della questione aperta dei giacimenti della regione orientale del Marange. Tali giacimenti sono al centro di una disputa sulle licenze tra il Governo di Harare e la società britannica African Consolidated Resources. "C'è ampio consenso nel governo per la definizione di un nuovo Diamond Act che stabilisca la nazionalizzazione di tutti i giacimenti di tipo alluvionale", ha detto il ministro, aggiungendo che tale norma assicurerà alle casse dello Stato tutti i proventi della vendita dei preziosi estratti dal sottosuolo dello Zimbabwe.
Le affermazioni del ministro giungono mentre è in corso a San Pietroburgo, in Russia, un incontro dei membri del Sistema di certificazione del processo di Kiberly (Kpcs), l'accordo internazionale sul controllo del commercio di diamanti. La riunione è convocata proprio per discutere l'eventualità di sollevare l'embargo sulle vendite dei diamanti provenienti dallo Zimbabwe.
Sulla base di una valutazione presentata a maggio scorso da un inviato del Kpcs in Zimbabwe, il Paese rispetterebbe le condizioni necessarie imposte dall'accordo, il quale mira a impedire che la vendita dei diamanti finanzi gruppi armati e conflitti o finisca per sostenere i responsabili di violazioni dei diritti umani.
Ciò nonostante, la maggior parte dei Governi dei Paesi africani, in particolare quelli del Sud Africa, Botswana, Angola e Tanzania, ritiene che la posizione del Kpcs sullo Zimbabwe sarebbe stata finora viziata da pregiudizi nei confronti del presidente Robert Mugabe. Questi, che un anno e mezzo fa ha raggiunto un accordo per la costituzione di un Governo di unità nazionale guidato dal suo ex principale oppositore, Morgan Tsvangirai, da parte sua accusa la comunità internazionale e il Kpcs di voler impedire al Paese di risollevarsi dalla difficile situazione economica in cui si trova.
 


(©L'Osservatore Romano - 17 luglio 2010)

Terremotati di Haiti

 

A sei mesi dal terremoto
oltre un milione e mezzo di persone
vivono in tendopoli

 

 

Vita da sfollati ad Haiti

 

Port-au-Prince, 13. A sei mesi dal devastante terremoto che ha ucciso trecentomila persone, è ancora emergenza ad Haiti, dove oltre un milione e mezzo di sfollati, compresi più di ottocentomila bambini, vivono in tendopoli sulle quali incombe la minaccia dell'avvio della stagione delle piogge.
Ad allarmare particolarmente è proprio la condizione dei bambini. Anthony Lake, il direttore generale dell'Unicef, l'agenzia dell'Onu per l'infanzia, ha spiegato ieri che "il terremoto ad Haiti è stato un disastro per i bambini, e non è ancora finita". Lake ha comunque rivendicato il duro lavoro fatto ogni giorno ad Haiti "per salvare vite umane e per aiutare i bambini ad avere un futuro". Più di 275.000 bambini sono stati vaccinati. Programmi nutrizionali forniscono cibo a circa 550.000 bambini sotto i cinque anni e alle donne in allattamento e circa 2.000 bambini gravemente malnutriti ricevono cure specifiche e alimenti terapeutici. Circa 500.000 bambini hanno ricevuto materiale didattico.
L'impegno internazionale di assistenza sembra però subire rallentamenti e ritardi. "Dei cinque miliardi di dollari promessi dalle istituzioni economiche e finanziarie mondiali solo l'11 per cento finora è stato effettivamente trasferito ad Haiti. Sono soldi di cui abbiamo bisogno adesso, non tra due anni", ha detto ieri l'ambasciatore di Haiti in Italia, Geri Benoit, dicendosi preoccupata per l'impossibilità di fronteggiare i prevedibili problemi che la stagione delle piogge si accinge a provocare. E in effetti si tratta ormai di una corsa contro il tempo:  la stagione degli uragani è alle porte e ad Haiti questo significa piene improvvise che trascinano con sé tende e case di fortuna.



(©L'Osservatore Romano - 14 luglio 2010)

L'orrore di Srebrenica

 

Quindici anni fa il più atroce massacro
del conflitto bosniaco


Per non dimenticare Srebrenica


 

Sarajevo, 10. Migliaia di persone stanno convergendo in queste ore a Srebrenica, la città simbolo dell'orrore del conflitto in Bosnia ed Erzegovina della prima metà degli anni Novanta, la città dove si consumò quindici anni fa il più atroce massacro conosciuto dall'Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale. Furono almeno ottomila, infatti, le persone trucidate in questa enclave musulmana della Bosnia orientale a suo tempo dichiarata dall'Onu "zona protetta", e che tra il 10 e l'11 luglio 1995 restò inerme di fronte all'offensiva delle milizie serbo-bosniache guidate da Ratko Mladic, tuttora ricercato dal Tribunale penale internazionale (Tpi) dell'Aja per l'ex Jugoslavia che lo ha incriminato per genocidio insieme con l'allora leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic, oggi invece assicurato al Tpi dopo molti anni di latitanza.
Da alcuni anni le celebrazioni dell'anniversario di Srebrenica si tengono nel sacrario di Potocari, a circa sei chilometri dalla città, dove riposano le spoglie di molte vittime della strage. Il sacrario fu costruito nell'ottobre del 2001, dopo una lunga resistenza da parte delle autorità della Repubblica serba di Bosnia, l'entità etnico culturale recepita insieme con la Federazione croato musulmana all'interno dello Stato unitario bosniaco internazionalmente riconosciuto in base agli accordi di Dayton del 1995.
Il luogo è quello dove migliaia di uomini di Srebrenica furono messi in fila e uccisi a raffiche di mitra centinaia alla volta, in giorni e giorni di mattanza. Fosse comuni sono state individuate anche a Cerska, in una piccola valle lungo la strada per Tuzla, piena di boschi fittissimi.
Furono catturati e uccisi anche quanti si erano rifugiati nella base - proprio a Potocari - dei caschi blu olandesi dell'Onu, che avevano a lungo e invano chiesto l'intervento della Nato e il cui comportamento è stato comunque duramente censurato da una commissione d'inchiesta del Parlamento olandese. Verso la base di Potocari si era diretta in massa la popolazione di Srebrenica nella notte tra il 10 e l'11 luglio. In un primo momento vennero lasciate entrare circa seimila persone, mentre altre migliaia arrivate più tardi non ebbero accesso. Il 12 luglio mattina, mentre era ancora in corso un incontro a Bratunac tra Mladic e una delegazione dell'Onu per trattare lo sgombero della base, le forze serbo-bosniache la circondarono e dal pomeriggio, mentre i caschi blu si ritiravano, cominciarono a separare e a deportare le donne e a uccidere uomini e ragazzi.



(©L'Osservatore Romano - 11 luglio 2010)