Decine di profughi e migranti — le prime informazioni parlano di cinquanta persone — sono state trovate morte stamane nel rimorchio di un autotreno abbandonato in una piazzola autostradale nei pressi della località austriaca di Parndorf. Le foto dell'automezzo, in un tragico simbolismo, mostrano la gigantesca immagine di un pollo. E come polli intrappolati troppo a lungo in una stia, senz'acqua e senza cibo, sono morti quegli infelici.
All’indomani delle ennesime tragedie nel Mediterraneo, un’atroce conferma del dramma di migranti e profughi giunge dunque anche da questa “rotta” terrestre europea sudorientale, della cui situazione proprio a Vienna stanno discutendo oggi i rappresentanti dei Paesi dell’Unione europea e di quelli dei Balcani occidentali. Di «un avvertimento» per l’Europa «affinché ci mettiamo al lavoro per risolvere questo problema e dare prova di solidarietà», ha parlato il cancelliere tedesco, Angela Merkel, che – sia pure dopo mesi di rigida chiusura - se non altro aveva avuto il coraggio due giorni fa di sospendere unilateralmente trattato di Dublino che prevede la responsabilità esclusiva dei Paesi d’arrivo nella gestione dei flussi di profughi e migranti, aprendo le porte a quelli in arrivo dall'Ungheria.
Sempre Merkel, che pure guida il Paese europeo che ospita più stranieri, aveva subito ieri la contestazione di gruppi organizzati di estrema destra quando si era recata. insieme al presidente della Repubblica, Joachim Gauck, al centro accoglienza di profughi a Heidenau, vicino a Dresda, teatro di un attacco di neonazisti che ha definito vergognoso. Merkel non aveva fatto sconti a questa gentaglia e aveva ribadito che ci sarà "tolleranza zero" per chiunque neghi la dignità umana di profughi e migranti.
Da parte sua, il responsabile dell’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, António Guterres, ha diffuso oggi un comunicato nel quale definisce completamente inadeguato il sistema dell’asilo nell’Ue, in riferimento proprio al trattato di Dublino.
Ieri, nell’ennesimo barcone trasformato in bara galleggiante nel Mediterraneo i soccorritori della nave svedese Poseidon avevano trovato cinquantuno morti nella stiva. Poco prima i marinai della Poseidon avevano trovato tre donne morte, una con in grembo il suo bambino che non nascerà, quando avevano soccorso un gommone con centoventi profughi e migranti. Anche nel Mediterraneo, dunque, si susseguono i promemoria dell’orrore che accompagna il pur indefesso impegno di soccorso in mare, che solo ieri ha tratto in salvo tremila persone.
Ma dall’Ue europea, nonostante le dichiarazioni reiterate in queste ore, tardano ancora risposte di civiltà e umanità alla tragedia di tanti infelici finiti nella tenaglia della cinica ferocia dei trafficanti di esseri umani e della calcolata manipolazione di forze politiche xenofobe. Sarà applicato solo nel 2016 — seppure sarà approvato dai Governi — quel «meccanismo permanente, vincolante e con quote» per la ripartizione di richiedenti asilo in caso di emergenze che possano verificarsi in qualunque Paese dell’Unione; meccanismo che la Commissione europea intende proporre «entro la fine dell’anno», come ha dichiarato oggi la portavoce Natasha Bertaud. Da parte sua, il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha respinto le accuse di inattività mosse alla sua istituzione, precisando che semmai a non fare il necessario sono gli Stati.
Nel frattempo, alla frontiera esterna dell’Ungheria, quella con la Serbia, la barriera di filo spinato quasi completata non frena gli arrivi. La risposta del Governo del premier Viktor Orban è una nuova stretta, con l’istituzione di un corpo speciale, con cani e armi, per pattugliare il confine e impedire i passaggi. Eppure le cifre sono ancora relativamente contenute. In totale, quest’anno in Ungheria sono arrivate 140.000 persone, in stragrande maggioranza provenienti da Siria, Iraq, Afghanistan e Pakistan, tutti Paesi in condizioni tali da garantire loro il diritto d’asilo previsto dalle convenzioni firmate dal Governo ungherese e da tutti quelli dell’Ue.
Le decisioni del Governo di Orban hanno fatto seguito a disordini al centro di accoglienza di Roeszke, dove la polizia ha usato i lacrimogeni contro circa duecento rifugiati che volevano parlare con i giornalisti della televisione pubblica. Il capo della polizia ungherese, Karoly Papp, ha detto che un nuovo corpo speciale, formato da oltre duemila uomini, pattuglierà in modo permanente il confine per bloccare gli ingressi. «Non avranno l’ordine di sparare», ha assicurato Papp, mentre il portavoce del Governo, Zoltan Kovacs ha detto che si sta valutando l’uso dell’esercito.
Forse, per l'Ungheria e per il resto dell'Unione europea, sarebbe il caso di attivare l'intelligence. Si continua infatti a blaterale di terroristi dell'Isis che si accingono a invadere l'Europa dalla Libia. Fesserie del genere le hanno ripetute ancora nelle ultime ore esponenti della destra italiana, sostenendo di averne avuto conferma dall'inviato dell'Onu in Libia, Bernardino León (figuriamoci se si mette a parlare con gente che non ha alcun ruolo istituzionale).
Ma nessuno di questi individui, abituati più ai pettegolezzi e alle sparate da osteria che all'analisi geopolitica e a spacciare per informazioni cazzate lette su Facebook o su Twitter (purtroppo ormai vale anche per responsabili governativi, in Italia e non solo) ha minimamente presente che se c'è un pericolo del genere – a giudizio di chi scrive è al momento solo una minaccia remota – fa fermato proprio nei Balcani. Infatti è tra i profughi siriani e iracheni fatti uscire dalla Turchia che possono eventualmente nascondersi “teste di ponte” del gruppo jihadista. E, per inciso, non mancano nei Balcani gli stati maggiori militari pronti a chiudere gli occhi, se non a flirtare, con l'estremismo islamista.