Non sta trovando spazio adeguato sulla stampa italiana, almeno a quanto si vede finora, una delle poche notizie realmente tali arrivata oggi dall'Expo di Milano. Niente politici in passerella, niente dichiarazioni roboanti, ma solo cifre e dati. Sto parlando di “Cibo di guerra, quinto rapporto sui conflitti dimenticati”, curato dalla Caritas italiana insieme con Il Regno e Famiglia Cristiana, il mensile e il settimanale dei paolini.
Ne emerge una conferma, ammesso che ce ne fosse bisogno, che la fame e la guerra non sono evento incontrollabili, ma il frutto di scelte consapevoli e deliberate. C'è una correlazione evidente e voluta tra conflitti e cattiva distribuzione delle risorse. In pratica, fame, aiuti alimentari, terreni accaparrati, giochi di borsa possono essere cause o effetti delle guerre al tempo stesso.
Il dossier indaga proprio sul reciproco condizionamento tra conflitti bellici e beni alimentari, ma affronta anche un altro aspetto, quello dell’attenzione ai conflitti, molto forte nell’informazione sui social network, ma altrettanto generica e non documentata, quando non palesemente manipolata. E questo chiama in causa chi fa il mio mestiere e, più ancora, chi detiene l'effettivo controllo dell'informazione. «Nel nuovo scenario liquido dell’informazione — sottolinea il rapporto Caritas — si avverte un forte bisogno di contestualizzazione e mediazione giornalistica. L’utente che arriva su YouTube attraverso un social network spesso non si chiede su quale canale è arrivato, qual è la sua agenda politica o da chi è finanziato. Preme play, commenta e condivide senza farsi troppe domande».
Di fronte a questa massa di rappresentazioni tendenzioso — ha osservato don Francesco Soddu, il direttore di Caritas italiana, presentando il rapporto ha sottolineato proprio la necessità di approfondimento e consapevolezza di fronte a questo modo tendenzioso di rappresentare la realtà. «Il racconto delle persone vittime di guerra, violenza, persecuzione, ci restituisce uno spaccato complesso che rischia di spaventarci e renderci a nostra volta vittime di un’informazione che semplifica, esprime sentimenti di paura e difesa, in molti casi prodotto della propaganda. Occorre rappresentare in maniera corretta ed equilibrata, stimolando un senso critico e un pensiero indipendente, unico mezzo per discriminare la massa di notizie», ha detto.
La data della presentazione del rapporto è significativa. Dopo l'attacco terroristico negli Stati Uniti dell'11 settembre 2001, ogni tipo di guerra – e di violazione del diritto internazionale – è stato sempre “giustificato” con la pretesa di sconfiggere appunto il terrorismo. Il risultato è che si sono moltiplicate le guerre e che il terrorismo si è fatto più aggressivo e ha allargato i propri consensi. Nel 2011, anno al quale faceva riferimento il precedente rapporto della Caritas, nel mondo si contavano 388 conflitti, mentre nel 2014, quello documentato dal dossier presentato oggi, hanno raggiunto quota 424. Sono aumentate soprattutto le crisi violente all'interno di singoli Stati (da 11 a 166), con un significativo coinvolgimento della popolazione civile e un crescente ricorso all’impiego di tattiche tipiche dell’azione terroristica. Si stima che le vittime di attacchi terroristici siano quintuplicate negli ultimi quindici anni, concentrandosi per il 95 per cento in Paesi non dell'Organizzazione per la cooperazione ie lo sviluppo economico (Ocse, quella di cui facciamo parte noi Paesi ricchi)). La grande parte degli attacchi ha avuto luogo in cinque Paesi: Iraq, Siria, Afghanistan, Pakistan e Nigeria. Più in generale, nei vari conflitti, si è passati da una media di 21.000 a 38.000 morti annui.
Ma ancora più significativo è il dato sugli armamenti, poiché come ebbe a dire Papa Francesco non è che si producono armi perché c'è la guerra, ma si fanno le guerre per vendere le armi. Dal 2010 al 2014 i trasferimenti internazionali di armi convenzionali sono aumentati del 16 per cento; Stati Uniti e Russia hanno esportato armi per il 58 per cento del mercato mondiale, mentre India e Arabia Saudita hanno importato armi rispettivamente per un +140 e un +300 per cento. «Esiste un mix letale — ha spiegato Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas Italiana e curatore dello studio — che contribuisce a far risorgere nei Paesi conflitti violenti e guerre cicliche: povertà assoluta, recessione economica, diseguaglianza. Se in uno Stato si verificano queste condizioni è più probabile che insorgano dei conflitti. L’11 settembre 2001 ha segnato una svolta nella crescita della spesa militare mondiale: sono nate nuove guerre e altri conflitti sono stati rimitalizzati. Dal 2010 al 2014 c’è stato un aumento della corsa agli armamenti che è un settore immune dalla crisi. Dal 2011 al 2014 il numero dei conflitti è in costante aumento e non stupisce il fenomeno dei flussi migratori di fronte a questo quadro geopolitico».
Poi, se volete, un'altra volta parliamo più diffusamente di quello che le religioni fanno e di quello che non fanno per arginare questa deriva.