Cinquemila persone sono state tratte in salvo nelle operazioni condotte dalla Marina italiana in Mediterraneo durante il fine settimana. Tutti giungeranno tra oggi e domani in porti siciliani e pugliesi. In quello di Pozzallo, in Sicilia, è atteso anche il barcone dove si è consumata l’ennesima tragedia delle migrazioni. Nel natante, ora al rimorchio della fregata Grecale, c’erano 566 salvati, le persone trovate vive dai soccorritori, e trenta cadaveri di quanti sono stati sommersi dalla morte che accompagna questi viaggia di una speranza tante volte stroncata.
«I sommersi e i salvati» è il titolo dell’ultimo libro di Primo Levi sulla tragedia della shoà, una vicenda che resta senza paragoni nella storia. Tuttavia, come già ebbi a scrivere in occasione del naufragio a Lampedusa dello scorso 3 ottobre, quel titolo si addice purtroppo anche a questo drammatico fenomeno epocale, se è vero che tra migranti e profughi ci sono oggi nel mondo duecento milioni di persone in cerca di un futuro loro negato in patria dalla fame o dalla guerra. Ci sono, in questo, responsabilità dirette ed evidenti di Governi, gruppi armati, reti criminali di sfruttatori, interessi economici talora inconfessabili, ma spesso palesi. C’è però, senza voler azzardare paragoni con l’ignavia, se non con l’indifferenza internazionale che rese possibile la shoà, anche diffusi egoismi, miopi particolarismi, persino aperta xenofofobia, se non razzismo, nell’approccio della comunità internazionale nel suo complesso — e dell’Europa in particolare — a questa vicenda epocale.
Il lutto per queste trenta persone e per le migliaia di vittime sommerse dalla morte lungo le rotte delle migrazioni in questi anni è un promemoria scritto da un dolore che non deve sbiadire. Un promemoria a fare scelte politiche, scelte di giustizia prima ancora che umanitarie.