Sembrano destinati a concludersi in questo 2015 due tra le più annose crisi del continente americano, il conflitto civile in Colombia e il contrasto tra Stati Uniti e Cuba. Su entrambi i processi di pacificazione non mancano pericoli e opposizioni, da ascrive comunque soprattutto a posizioni rigide residuali all'interno dei Paesi interessati. Tuttavia, le prospettive generali consentono agli osservatori un ragionevole ottimismo. Per una volta, infatti, alle dichiarazioni dei protagonisti di queste scelte di pace fanno riscontro concreti sviluppi politici. È il caso tanto del negoziato tra il Governo di Bogotà e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), che pure si protrae all'Avana da ormai oltre due anni, quanto dell’accordo sulla normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba, annunciato lo scorso 17 dicembre dai presidenti Barack Obama e Raúl Castro.
Per rimuovrere l'embargo statunitense a Cuba sono già stati avviati i negoziati, con i colloqui all'Avana del 22 e 23 gennaio tra le delegazioni cubana e statunitense guidate da Josefina Vidal e da Roberta Jacobson.Da metà gennaio è in vigore anche il primo provvedimento esecutivo dell'Amministrazione di Obaba che ha cancellato molte delle restrizioni su viaggi, affari e rimesse finanziarie dall’estero decise durante gli anni del duro confronto tra Washington e l’Avana.
I maggiori ostacoli per Obama, peraltro, più che nel negoziato con Cuba sembrano profilarsi sul fronte interno. L'argomento è infatti tra quelli – insieme con l'immigrazione - sui quali si prospetta un inasprimento del contrasto tra il presidente e il Congresso, ormai controllato dai repubblicani. È già stata annunciata una dura opposizione alla proposta di legge presentata nella prima sessione legislativa della Camera nel 2015, sempre a metà gennaio, da un rappresentante democratico dell'Illinois, Robert L. Rush, per sollevare l’embargo. Ileana Ros-Lehtinen, tra l'altro di origine cubana, che nel dibattito alla Camera ha condotto gli interventi della maggioranza repubblicana sulla politica verso l'Avana, non ha usato mezzi termini: «Abbiamo già sconfitto in passato questi tentativi di sollevare l’embargo e sono ottimista sul fatto che lo faremo di nuovo», ha detto.
In ogni caso, i poteri di veto che la Costituzione attribuisce sono tali da consentire a Obama di superare l'ostruzionismo repubblicano al processo di normalizzazione con Cuba. E Obama, come per quanto riguarda la sua riforma volta a regolarizzare la situazione di milioni di immigrati irregolari presenti nel Paese spesso da molti anni, si è detto deciso a usarli.
Ostacoli non mancano neppure nel processo di pace colombiano, che vede resistenze sia da alcune formazioni non pienamente controllate delle Farc, sia soprattutto tra gli oppositori del presidente Juan Manuel Santos, che non nascondono la contrarietà di considerare i guerriglieri interlocutori e di venire a patti con loro. Tuttavia, Santos ha impresso al negoziato un'ulteriore e forse decisiva accelerazione, dando istruzione alla delegazione governativa impegnata nelle trattative all'Avana di incentrare i colloqui con quella delle Farc e con i mediatori cubani e norvegesi sul raggiungimento di un cessate il fuoco bilaterale e a tempo indeterminato. In passato, Santos aveva sempre sostenuto che l'esercito non avrebbe interrotto le operazioni contro le Farc prima che fosse sottoscritto un accordo definitivo. Ora, però, ha ammesso che la tregua unilaterale proclamata dalla guerriglia «è stata un passo nella direzione corretta», nonché un impegno che le Farc hanno rispettato. Per questo, ha aggiunto, si è incominciato a lavorare «a un accordo sul modo in cui si realizzerà la consegna delle armi e il reinserimento di quanti abbandoneranno la lotta armata».
Il presidente si dice ottimista anche in merito a un negoziato con l'altra formazione guerrigliera di sinistra, l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), con cui il Coverno ha avviato dialoghi esplorativi da un anno. Santos non ha nascosto che manca ancora la parte più difficile, cioè la fine della lotta armata tanto non solo delle Farc ma anche dell'Eln, ma ha garantito che ciò non lo distoglierà dall’obiettivo di «una Colombia senza conflitto che avanzi verso il consolidamento della pace».
Secondo diverse fonti, prospettive di intesa ci sono anche su altri contrasti tra i Paesi americani, certo meno noti, ma comunque anch'essi pluriennali, primo tra tutti l'ultracentenario contenzioso tra Cile e Bolivia riguardo all'accesso di quest'ultima all'oceano Pacifico, di cui è priva da 136 anni e la cui mancanza contribuisce a renderla uno dei Paesi più poveri del continente. Fu proprio il Cile, nel 1879, a strappare alla Bolivia il suo unico accesso al mare, quello di Antofagasta, durante la cosiddetta guerra del Pacifico. Tarda, ma questo potrebbe essere l'anno buono, il pronunciamento dell'Alta Corte di giustizia dell'Aja sulla denuncia presentata lo scorso aprile dal presidente boliviano, Evo Morales. Questi punta su un precedente importante. La Corte dell'Aja, infatti, si è già pronunciata su una vicenda simile, restituendo al Perú una zona marittima ricca di risorse ittiche, strappata anch'essa dal Cile durante la guerra del Pacifico. Ma potrebbero esserci sorprese tali da rendere il giudizio all'Aja pleonastico. Proprio Morales continua infatti a chiedere di sanare le ferite del passato, causate da interessi economici stranieri, per «integrare una volta per tutte due Paesi fratelli che hanno sempre diviso storia, cultura e tradizioni». Soprattutto, Morales chiarisce che non ci saranno soggetti privati internazionali a mettere il discussione gli interessi cileni, dato che «Se la Bolivia riuscirà a ottenerlo non privatizzerà il suo accesso al mare. La Bolivia vuole che i mari appartengano ai popoli, al popolo cileno, al popolo boliviano e a quelle peruviano».