Pietà e orrore accompagnano da sempre quanti sono costretti a raccontare la tragedia dei bambini trasformati in strumenti di guerra e di crimine, una pratica antica come l’uomo, ma ampliata a dismisura dai gruppi armati e dalle mafie moderne. E oggi l’informazione globalizzata porta in tutto il mondo le prove di una ferocia sempre più determinata e si diffondono timori e scoramenti, ma anche odio, ai quali è difficile opporre le ragioni della speranza.
La sfida del terrorismo va ormai oltre la cinica logica di chi sfrutta e perverte l’innocenza per conseguire i propri scopi, oltre le pratiche pure atroci di reclutamento di bambini soldato e di manovalanza criminale, oltre l’uso brutale di droghe e terrore, oltre l’asservimento sessuale, oltre il concetto stesso di delitti contro l’infanzia. Il filmato del bambino kazako trasformato in boia dal cosiddetto Stato islamico, le stragi sempre più frequenti perpetrate da Boko Haram in Nigeria con attentatrici suicide bambine imbottite di esplosivo, sono propaganda scientificamente e persino orgogliosamente esibita.
Il crimine — quel crimine contro l’infanzia denunciato per millenni da ogni religione e da ogni cultura — rivendica la visione forsennata di bambini destinati solo a uccidere o a morire. In questa negazione dell’uomo, della pace, di Dio che pure si prende a pretesto, li indottrina, li addestra e li precipita.
Ma pure le ragioni della speranza ci sono. Nel volontariato, religioso e civile che in tutto il mondo si dedica al recupero e alla protezione dei bambini sottratti a tanto orrore. Nello sforzo educativo di tante famiglie e di tante comunità. Nel dialogo mai interrotto tra le religioni e le culture. Nell’uomo. Nell’aiuto di Dio.