Dar da mangiare agli affamati, la prima delle opere di misericordia, interpella certo ciascuno personalmente, ma si traduce oggi anche nella prima emergenza politica globale. Nel mondo, infatti, una persone su otto è in condizione di malnutrizione cronica. È questo il dato più macroscopico del rapporto annuale «State of Food Insecurity in the World» (Sofi 2013) presentato congiuntamente oggi a Roma dalle tre agenzie dell'Onu competenti per il settore alimentare, l'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao), il Programma alimentare mondiale (Pam) e il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad), che appunto a Roma hanno sede. Nei parametri dell'Onu, il termine malnutrizione definisce «l’impossibilità di avere abbastanza cibo per una vita attiva e sana» e di rispettare gli standard minimi per «una dieta energetica».
Rispetto a quelli precedenti, il Sofi 2013 segnala un piccolo miglioramento della situazione in numeri assoluti. Nel periodo 2011-2013 sono infatti 842 milioni le persone che hanno sofferto per una malnutrizione cronica, mentre erano state 868 milioni nel 2010-2012 e un miliardo e 20 milioni nel 2009. Al tempo stesso, il dato del 2013 rappresenta il 12 per cento della popolazione mondiale (ma in Africa sono il 20 per cento) ed è in sensibile calo rispetto al 17 per cento del triennio 1990-1992. Tuttavia, Fao, Pam e Ifad avvertono che molte regioni non riusciranno a raggiungere il primo dei Millennium Development Gials (Mdg), gli obiettivi di sviluppo del millennio a suo tempo fissati dall'Onu, quello cioè di almeno dimezzare entri il 2015 il numero di chi soffre la fame.
A conferma di come siano le guerre, vere e proprie, ma anche commerciali, la principale causa di sottosviluppo e il primo impedimento dello sforzo di raggiungere gli Mdg, come tra l'altro ha scritto il mese scorso Papa Francesco ai partecipanti al vertice del G20 a San Pietroburgo, il Sofi 2013 ricorda che i Paesi più penalizzati sono quelli in cui ci sono stati conflitti armati nell’ultimo ventennio e quelli privi di sbocco al mare e di infrastrutture per i trasporti. Il rapporto evidenzia però che, nonostante i ventisei milioni di affamati in meno nel mondo, la malnutrizione cronica non è ormai solo un problema dei Paesi in via di sviluppo, ma investe ormai in misura di assoluto rilievo anche i Paesi cosiddetti avanzati. Complice la crisi finanziaria, infatti, la fame si fa largo un po' ovunque.
Più in generale, non è l'aumento di popolazione ad accrescere la penuria di alimenti, ma il sistema economico, finanziario e commerciale dominante oggi nel mondo e caratterizzato da immensi sprechi che stridono con le immense povertà. Nel periodo preso in esame dal Sofi 2013, tali sprechi alimentari hanno raggiunto non solo le 670 milioni di tonnellate nei Paesi industrializzati, ma anche le 630 milioni di tonnellate in quelli in via di sviluppo. Studi concordi delle agenzie dell'Onu e delle principali organizzazioni che si occupano del settore mostrano che ogni anno, il cibo prodotto ma non consumato sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga; utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno, quasi il 30 per cento della superficie agricola mondiale, ed è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Risulta quindi evidente la necessità di una più attenta gestione e distribuzione della produzione agricola e alimentare per combattere la povertà e la fame.
La questione, comunque, riguarda l'intera impostazione delle politiche mondiali, soprattutto in riferimento proprio ai Paesi in condizioni peggiori. Nelle stesse ore in cui a Roma veniva diffuso il Sofi 2013, a Johannesburg, in Sud Africa, venive presentato anche il quinto rapporto di Afrobarometer, il progetto di ricerca indipendente che che aggiorna ciclicamente sulle condizioni sociali, politiche ed economiche in diversi Paesi africani. La situazione del continente fotografata da Afrobarometer contiene ancora più ombre che luci. Il rapporto, riferito al periodo tra ottobre 2011 e giugno 2013, si estende in questa occasione a 34 Paesi e si basa su oltre cinquantamila contributi raccolti con interviste a semplici cittadini. Dallo studio emerge una diffusa insoddisfazione delle popolazioni, nonostante la forte crescita economica dell’ultimo decennio sottolineata dai dati governativi ufficiali e riferiti soprattutto a un aumento del prodotto interno lordo (pil) registrato al 4,8 per cento di media annua. All’aumento del pil, infatti, non ha fatto riscontro un miglioramento delle condizioni di vita. Dalla quasi totalità degli africani intervistati vengono contestate le gestioni dell’economia fatte dai Governi, , accusati soprattutto di non aver creato lavoro e di aver aumentato la forbice tra ricchi e poveri.
In questa “povertà vissuta” che rimane pervasiva nel continente, secondo il rapporto solo cinque Paesi — Capo Verde, Ghana, Malawi, Zambia e Zimbabwe — hanno registrato un miglioramento, mentre in altri cinque — Botswana, Mali, Senegal, Sud Africa e Tanzania — la povertà è aumentata. Per il resto dei Paesi presi in esame, il rapporto segnala cambiamenti minimi, denunciando in ogni caso una persistente assenza di adeguati investimenti in infrastrutture e servizi sociali che rappresenta il principale impedimento per un’efficace lotta alla povertà.