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Somalia tra timori e speranze

Somalia tra timori e speranze - Pierluigi Natalia

  

Continui attentati

  

ma primi rimpatri

  

di profughi

  

  

 13 luglio 2013

Nell'incertezza che segna ancora la vicenda somala, a un anno dalla fine della transizione sostenuta dalla comunità internazionale, timori di una recrudescenza del conflitto sono alimentati da uno stillicidio di attacchi armati e di attentati. L'ultimo caso è quello di ieri a Mogadiscio, dove otto civili sono stati uccisi dall’esplosione di un’autobomba guidata da un attentatore suicida che intendeva colpire un convoglio dell’Amisom, la missione dell’Unione africana in Somalia, i cui militari sono invece rimasti tutti illesi. La strage è stata rivendicata dai ribelli radicali islamici di al Shabaab, secondo i quali obiettivo era appunto il convoglio, al cui interno viaggiavano, secondo loro, ufficiali statunitensi. Finora non è stato possibile a fonti indipendenti accertare la veridicità o meno di tale notizia.

Ai timori per questa situazione si affiancano primi timidi segni di speranza. Uno di questi è il rimpatrio nei primi mesi di quest’anno di alcune migliaia di rifugiati e sfollati che hanno potuto fare ritorno nei loro villaggi e nelle loro case, secondo quanto riferito nell'ultimo rapporto dell'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhcr). . Proprio di un momento di speranza parla l'Unhcr riferendo che nel 2013 siano già rientrate volontariamente in Somalia circa 20.000 persone. Altre 16.000 sarebbero tornate nelle loro case dopo essere state a lungo sfollate in altre regioni del Paese.

Sembrerebbe una goccia nel mare, se si pensa che tra rifugiati all'estero e sfollati interni i profughi somali sono quasi quattro milioni, la metà circa della popolazione. Tuttavia, il segnale è importante anche per quanto riguarda l'allentamento delle tensioni regionali legate proprio alla questione somala..

Di un impegno internazionale affinché un numero crescente di somali possa tornare nella sua terra d’origine ha discusso in settimana ul responsabile dell'Unhcr, Antonio Guterres, in colloqui a Nairobi con dirigenti del ministero degli Interni del Kenya, dove vivono centinaia di migliaia di profughi somali, 430.000 nel solo campo di Dadaab. Guterres ha annunciato che l'Unhcr e il Governo del Kenya lavoreranno insieme per favorire il graduale ritorno in Somalia di altre 60.000 persone entro l'anno.

A giudizio di alcuni osservatori, tuttavia, tale progetto, se non gestito con il massimo di saggezza e precauzioni possibile, potrebbe addirittura peggiorare la situazione e, in particolare, i rapporti già tesi tra il Governo di Nairobi e quello di Mogadiscio. Quest'ultimo ha chiesto il ritiro delle truppe del Kenya dalla città meridionale somala di Chisimaio e la loro sostituzione con «una forza più neutrale», sempre nell’ambito dell’Amisom, la missione dispiegata dall’Unione africana in Somalia. Le forze di Nairobi vennero a suo tempo inquadrate nell’Amisom dopo essere entrate nel Paese confinante per un loro intervento autonomo al dichiarato scopo di mettere in sicurezza la zona di confine e di contrastare la penetrazione delle milizie di al Shabaab.

La richiesta del Governo somalo ha fatto seguito a un’aspra ripresa dei combattimenti tra fazioni rivali a Chisimaio e le truppe di Nairobi sono accusate di aver fornito sostegno a quella di Ras Kamboni, guidata Ahmed Mohamed Islam, meglio conosciuto come Ahmed Madobe, che in maggio si era proclamato governatore del Jubaland, la regione di Chisimaio. Lo stesso Madobe ha confermato che i suoi uomini sono stati aiutati dai soldati del Kenya, riuscendo così ad avere la meglio sul rivale, il colonnello Bare Adan Shire, a sua volta meglio conosciuto come Bare Hirale, che si è anch’egli dichiarato governatore del Jubaland.

Sullo sfondo, comunque, rimane la questione di al Shabaab. Proprio le forze di Nairobi un anno fa hanno obbligato al Shabaab a ritirarsi dalle zone meridionali della Somalia che controllavano da anni, in particolare appunto da Chisimaio. Nonostante tale ritiro, al Shabaab ha conservato intatta la sua capacità di colpire, sia con azioni di guerriglia, sia con attentati. Vale per il territorio somalo, compresa Mogadiscio dove ci sono stati solo questo luglio due sanguinosi attentati - prima di quello di ieri c'era sta una settimana fa un'esplosione nel mercato di Bakara, il maggiore della città, con decine di feriti - e dove in giugno al Shabaab aveva provocato decine di morti e di feriti in una base dell’Onu nei pressi dell’aeroporto, cioè in una delle zone teoricamente più protette della città. In questo caso si era trattato di un attacco di guerriglieri preceduto da quello di due attentatori suicidi che si erano fatti esplodere all'ingresso della complesso.

Ma vale anche oltre confine. E non mancano quanti ritengono che lo il Governo di Nairobi cerchi di allentare la presenza di rifugiati somali sul suo territorio anche perché ritiene che le milizie di al Shabaab proprio a Daadab e negli altri campi profughi, difficilmente controllabili, trovino basi logistiche per organizzare attentati in Kenya.