Due anni dopo la fine della transizione in Somalia dichiarata con enfasi dalla comunità internazionale, le speranze di pace nel Paese del Corno d'Africa si confermano flebili e, anzi, l'ultraventennale conflitto che lo lacera fa segnare una fase di particolare asprezza.
L'ultima conferma è venuta questa mattina da Afgoye, a pochi chilometri dalla capitale Mogadiscio, dove un attentatore suicida si è fatto esplodere al passaggio di un convoglio di soldati dell’Amisom, la missione dell'Unione africana, provocando dodici morti e una trentina di feriti, in gran parte civili che si trovavano sul posto.
Al momento l'attentato non è stato rivendicato, ma ci sono pochi dubbi sulla responsabilità delle miliziie ribelli radicali islamiche di al Shabaab, che hanno appena nominato loro nuovo comandante Ahmad Omar, detto Abu Ubaidah, dopo che in un raid sferrato dall’aviazione statunitense la settimana scorsa era stato ucciso Mukthar Abu Zubeyr, conosciuto anche come Ahmed Abdi Godane (Godane, in arabo, significa gioventù, esattamente come al Shabaab in somalo). Il bombardamento statunitense, finalizzato proprio a colpire Godane, era stato sferrato in una zona forestale del distretto meridionale somalo di Sablale, dove si troverebbero campi di addestramento di al Shabaab.
L’uccisione di Godane, annunciata dal comando militare statunitense pochi giorni dopo il raid, è stata confermata dal portavoce di al Shabaab, Abdulaziz Abu Musab, il quale ha altresì ribadito la determinazione del gruppo a continuare la sua lotta e ha promesso vendetta.
La vicenda di al Shabaab è un esempio “di scuola” di come lasciare incancrenire situazioni di conflitto apra la strada alla penetrazione di ideologie terroristiche – e di loro propugnatori – all'interno di gruppi che in origine di terroristico non avevano nulla. Tra l'altro è solo negli ultimi anni che è stata accertata la presenza nelle loro file di combattenti stranieri, in particolare di matrice fondamentalista islamiche che al Shabaab in origine non aveva di sicuro. Per esempio, al momento si hanno poche notizie su Ahmad Umar, al contrario di quanto non fosse per Godane, ritenuto fra l’altro l’ideatore della presa di ostaggi, un anno fa, in un centro commerciale di Nairobi, in Kenya, conclusa con la morte di decine di persone dopo l’intervento delle forze speciali kenyane.
Le truppe kenyane (in particolare marina e aviazione) furono determinanti in quella che due anni fa la comunità internazionale definì con almeno una qualche precipitazione la sconfitta delle milizie al Shabaab. Queste, originariamente espressione sostanzialmente politica delle Corti islamiche che avevano governato a Mogadiscio prima di essere costrette a lasciare il potere dall’intervento armato dell’Etiopia, furono all'epoca scacciate anche da Chisimaio, seconda città e secondo porto della Somalia, che avevano controllato per anni, grazie appunto al determinante apporto delle truppe di Nairobi. La presunta sconfitta, peraltro, è stata tutt'altro che tale, dato che al Shabaab ha dimostrato da allora di aver mantenuto intatta la propria capacità di colpire, sia con azioni di guerriglia sia con azioni di terrorismo, in patria e all'estero, soprattutto proprio in Kenya.
Oltretutto, la stessa presenza dei soldati dell'Amisom, considerati invasori non solo da al Shabaab, ma da parti consistenti della popolazione, sta creando anche un tipo di problemi purtroppo non insolito in Paesi dove il controllo sul comportamento delle forze internazionali è tutt'altro che assoluto. È di queste ore, una dettagliata denuncia dell’organizzazione non governativa Human Rights Watch (Hrw) di violenze, umiliazioni e abusi sessuali a danno di donne, ragazze e almeno una bambina commessi da soldati di Amisom. In un rapporto diffuso oggi, Hrw riporta denunce di 21 donne e ragazze di violenze avvenute tra il 2013 e il 2014 in due basi di soldati burundesi e ugandesi a Mogadiscio. I militari avrebbero compiuto abusi anche promettendo aiuti umanitari in cambio di favori sessuali. Secondo Hrw, su uno solo degli episodi di abuso è in corso un processo, presso una corte marziale della capitale ugandese Kampala.
Contro al Shabaab è in atto una nuova offensiva dell’esercito somalo e dell’Amisom. Negli ultimi giorni, le truppe somale e quelle dell’Amisom hanno strappato ad al Shabaab la località di Jalalaqsi, dopo aver ripreso Bulomarer, importante cittadina del Basso Shabelle, a 160 chilometri a sud-ovest di Mogadiscio. Il loro prossimo obiettivo strategico sembra essere Barawe, grande e ultimo porto nelle mani di al Shabaab, dal quale viene esportato carbone verso i Paesi del Golfo e che rappresenta quindi un’importante fonte di reddito.
Al tempo stesso, però, il Governo di Mogadiscio ha offerto amnistia e reintegro nella società per i miliziani che deporranno le armi. Il ministro della Sicurezza, Khalif Ahmed Ereg ha parlato esplicitamente di «un tentativo politico di incoraggiare le defezioni» all’interno di al Shabaab. Defezioni che presumibilmente riguardano i miliziani somali del gruppo, stimati da fonti concordi a non più di millecinquecento.
Alla spina rappresentata da al Shabaab si aggiungono per il Governo somalo quelle dei contrasti con le le autorità delle regioni che da tempo, in qualche caso da oltre vent’anni, si sono dichiarate autonome. In particolare, il mese scorso l’amministrazione del Puntland ha annunciato una rottura delle trattative su un nuovo ordinamento federale della Somalia. La realizzazione di un tale assetto è cruciale per dare effettiva concretezza alla transizione somala, come detto dichiarata conclusa già da due anni. All’origine dello scontro c’è la definizione degli Stati che comporranno la Federazione. Contestata dalle autorità del Puntland è in particolare la nascita del Mudug, in un’area oggi di fatto suddivisa tra la regione da tempo proclamatasi autonoma e Mogadiscio. La questione del Puntland, fra l’altro, ha un’importante componente anche economica. Da anni, infatti, al largo delle sue coste sono in atto prospezioni petrolifere (e secondo fonti concordi già attività estrattive) da parte soprattutto della britannica Beyond Petroleum.
In merito, va ricordato che in base agli accordi sulla transizione somala a gestire l'industria petrolifera, come pure la riscossione delle tasse e dei proventi dei commerci e dei traffici portuali, sarà il Joint Financial Management Board, un organismo composto da rappresentanti somali, ma soprattutto di Francia, Gran Bretagna, Unione europea, Banca Mondiale. Il bord è formalmente incaricato di aumentare la trasparenza e di rafforzare le istituzioni pubbliche nella gestione finanziaria. Ma diversi osservatori hanno dubbi sulle disinteressate intenzioni dei membri di tale organismo. Al tempo stesso, l’assenza vistosa nel bord di attori non tradizionali in Somalia, quale la Turchia, che ultimamente hanno contribuito significativamente alla ricostruzione di Mogadiscio e avviato programmi di sviluppo nelle regioni sottratte al controllo di al Shabaab, lasciano intravedere i contrasti e le forze che si agitano dietro le quinte. A conferma che il disastro somalo, in definitiva, potrebbe trasformarsi in un vero e proprio eldorado per chi riuscirà ad assicurarsi un posto in prima fila nella ricostruzione post-bellica.
Ammesso che il termine post-bellica possa finalmente incominciare ad avere un senso.