L'Europa dei popoli, che era il sogno visionario del socialista Altiero Spinelli, la fecero tre democristiani, il francese Robert Shuman, il tedesco Konrad Adenauer e l'Italiano Alcide De Gasperi. Dopo la caduta del muro di Berlino, furono ancora cattolici e socialisti a credere nell'allargamento dell'Unione, di fronte alle resistenze dei liberali, oltre che degli euroscettici, a partire dai conservatori inglesi, e dei nazionalisti di diversa estrazione. Da un decennio a questa parte, anche più, i destini dell'integrazione e dello sviluppo europeo sono stati affidati affidati di fatto, a Paesi che hanno visto maggioranze politiche soprattutto di centro-destra, alla burocrazia e alla finanza.
Queste ultime elezioni europee sono state una specie di redde rationen. I post democristiani (l'attuale Ppe con Shuman, Adenauer e De Gasperi ha poco a che fare), pur restando il primo partito, hanno perso più un quarto dei voti e dei deputati. L'alleanza dei progressista dei socialisti e democratici (S&D), cioè la formazione erede del Partito socialista europeo, resta seconda e ha anch'essa perso consensi. Fra l'altro, a drenare l'emorragia di S&D è stato soprattutto il risultato del Partito democratico italiano (e solo in parte quello dei socialdemocratici tedeschi. E va ricordado che il Pd, fondato a suo tempo dal democristiano Romano Prodi e oggi guidato dal postdemocristiano Matteo Renzi, non è proprio direttamente iscrivibile alla tradizione del Partito socialista europeo (Pse). La nuova dicitura, appunto S&D, del gruppo parlamentate si deve infatti proprio al Pd italiano, che nel Pse non sarebbe entrato. I liberali, i conservatori e i verdi hanno perso a loro volta terreno.
A vincere (almeno quel tipo di successo figlio della protesta) sono stati dunque nazionalisti ed forze politiche dichiaratamente anti Unione europea, che complessivamente conquistano nel parlamento di Strasburgo quasi un centinaio di seggi, ai quali se ne aggiungono una quarantina di euroscettici o non meglio definiti, come l'italiano Movimento 5 stelle.
L’autentico terremoto politico anti-Ue è partito dalla Francia, con la clamorosa, anche se annunciata, affermazione del Fronte nazionale (25 per cento). Secondo il centrodestra dell’Ump (21 per cento) e addirittura terzi (14 per cento) i socialisti del presidente, François Hollande. Un tracollo senza precedenti. La seconda clamorosa faglia del sisma c'è stata in Gran Bretagna, dopo che l’Ukip (dichiaratamente anti-Ue) è decollato al primo posto con 24 deputati (ben 11 in più rispetto al 2009). Secondi i laburisti con 20 seggi (più sette), seguiti dai Tory del premier Cameron con 19 deputati (sette in meno). Quasi scomparsi i liberaldemocratici di Nick Clegg, alleati nella coalizione con Cameron, che hanno perso nove seggi e ne hanno conservato solo uno È la prima volta dal 1906 che il voto in Gran Bretagna non premia conservatori o laburisti.
In Germania, tiene la grande coalizione guidata da Angela Merkel, che è stata negli altrui Paesi il principale bersaglio delle campagne antisistema.. La Cdu-Csu, infatti, è sempre la prima formazione tedesca, riportando il 36 per cento dei voti. Di rilievo anche il risultato dei socialdemocratici dell’Spd, ma la vera novità è rappresentata dagli euroscettici dell’Alternative für Deutschland, che sarebbero al 7 per cento.
Questa e le altre formazioni premiate dalla protesta con un complesso di oltre centotrenta seggi non possono peraltro essere sommate, dato che la loro forza complessiva rilevante non è né può essere destinata a tradursi in un blocco omogeneo. Gli euroscettici guidati dall’Ukip britannico di Nigel Farage, che hanno 36 seggi, hanno poco a che spartire con i partiti alleati del Fronte nazionale di Marine le Pen, della Fpö austriaca, dell'oldandese Pvv, e dell'italiana Lega, che dovrebbero formare un gruppo di una quarantina di deputati.
Tra l'altro, le affermazioni di queste forze, come hanno dimostrato le reazioni interne al voto, hanno risposto più a criteri di politica interna (clamoroso in Francia il tracollo del Partito socialista vincitore delle ultime presidenziali e delle ultime politiche) che a un effettivo pronunciamento dell'elettorato sull'Europa.
Ma forse sarebbe il caso di dire su “questa” Europa. In ascesa, per la prima volta da decenni, è infatti anche la cosiddetta sinistra radicale, presentatasi con una lista “Per l'altra Europa” guidata dal greco Tsipras, leader di Syriza, il partito vincitore nel suo Paese. In questo caso, l'opposizione è politica in senso proprio, con una contestazione radicale allle degenerazioni del sisatema liberista che hanno provocato le devastazioni dell'ultimo quinquennio. E forse non è un caso se anche in Italia, dopo la crisi degli ultimi anni, la lista, per inciso guidata, tra gli altri, dalla figlia di Spinelli, è riuscita a superare la soglia di sbarramento.
Tra i Paesi più popolosi, e quindi con più deputati, l'unica eccezione, insieme con la Germania, alle sconfitte governative viene proprio dall'Italia, dove il Pd di Renzi ha superato il 40 per cento dei consensi, un risultato mai raggiunto dai tempi della Democrazia Cristiana. Né a spiegarlo basta l'astensionismo al 43 per cento, il più alto di sempre in Italia, anche se in fondo in linea con la media europea. In ogni caso, in cifra assoluta, il Pd ha ottenuto due milioni e mezzo di voti in più rispetto alle vittoria di Pirro delle politiche dello scorso anno. Il superamento della soglia di sbarramento al 4 per cento è riuscito al Nuovo Centro Destra, formato dai dissidenti dell'ex berlusconiano Popolo della libertà, che, insieme con Lista Civica, fuori invece dall'Europa, garantisce la maggioranza nel Parlamento italiano. Scofitti, di fatto, sono la ricostituita Forza Italia, ancora guidata dal condannato e interdetto Berlusconi, poco oltre il 16 per cento, gli altri ex polisti di Fratelli d'Italia, che hanno quasi raddoppiato i voti delle politiche, ma non hanno superato lo sbarramento.
Sconfitto, specialmente dopo il conclamato obiettivo di superare il Pd, è soprattutto il Movimento 5 stelle, che in un anno ha perso tre punti percentuali e tre milioni di voti in assoluto. Il portavoce (o capo, o guru, o quello che sia) del movimento, Beppe Grillo, in campagna elettorale, come suo solito condita di insulti a tutti coloro che non lo osannano, aveva cercato da una parte di mobilitare gli antieuropei e gli scontenti nei confronti dell’Europa e dall’altra di motivare l’elettorato deluso dalla politica italiana, facendo balenare la possibilità che dall’esito del voto potesse anche dipendere la vita del Governo. Linea e toni, stavolta, non hanno convinto l'elettorato e, forse, Grillo e i suoi dovrebbero riflettere sul fatto di non essere riusciti a intercettare almeno parte di quell'astensionismo protestatario o forse semplicemente disgustato.
Il 40 per cento a un partito italiano, in un'elezione senza coalizioni e senza quei premi di maggioranza che drogano da un ventennio la rappresentanza politica e umiliano il diritto di tribuna, è una vittoria che non si discute. Ma in Italia nulla può essere dato per acquisito in politica. Paradossalmente, le riforme così come delineate dagli accordi tra Renzi e Berlusconi da questo voto potrebbero essere indebolite. Berlusconi stesso, difficilmente accetterà ora di perseguire ancora una schema rigidamente bipolare che minaccia di escluderlo dalla competizione, qualora ci fossero segnali che il predominio in questo momento schiacciante possa spingere Renzi a “cavalcare l'onda” e a essere lui stesso a interrompere la legislatura. In ogni caso, per Renzi potrebbe rivelarsi un calcolo miope. Gli ex berlusconiani, compreso il 6 per cento della Lega, rappresentano comunque più di un terzo dei voti. E se l'arretramento dei “grillini” dovesse confermarsi, per la destra italiana tornare maggioranza da qui a pochi mesi potrebbe non essere una missione impossibile.
L'Italia, oltretutto, si appresta alla presidenza di turno semestrale dell'Unione europea. Non impegnare ogni sforzo per riequilibrare la situazione europea nel senso della giustizia sociale e dell'inclusione degli emarginati, non puntare la propria forza sia interna sia europea (gli italiani sono la componente maggiore dello schieramento progressista) a ripristinare il primato del lavoro su quello del denaro, sarebbe non solo colpevole, ma anche politicamente suicida.