La pandemia non è finita, ma da domani saremo un po' più liberi, Certo, è una buona notizia, né dopo tre mesi trascorsi in una costrizione che molto ha somigliato a una prigionia, le misure di sicurezza che restano in vigore tolgono più di tanto al sollievo. Per settimane una comunicazione unilaterale e ossessiva ci ha detto che il nemico, l'unico nemico era un virus balordo e che "per il nostro bene" la libertà doveva essere limitata, che detto così suona un po' male. Poi quella stessa comunicazione dominante ha cominciato a convincerci che il nemico principale da combattere fosse il pericolo di non poter tornare "come prima" e che con il virus balordo tutto sommato conviene imparare a convivere, perché tanto per sconfiggerlo ci vorrà troppo tempo e non si può vivere liberi tappandosi in casa. E anche questo non suona troppo bene.
Quanto al pericolo da affrontare per tornare liberi si può persino esagerare e farci sopra una bella citazione da Dante Alighieri, che non è il paroliere di un riuscito programma televisivo di qualche anno fa, un "one man show", come dicono gli esperti di spettacolo che amano usare l'inglese, condotto da un comico/attore/regista di successo, ma un discreto poeta che da secoli ci guida in un mistico viaggio in endecasillabi dalla condizione di peccato alla visione di Dio. E in quel viaggio troviamo, all'inizio del secondo tappone, la citazione che ci serve, riferita a un tal Catone Uticense (chiamato minore, perché il Catone maggiore era un suo prozio che scriveva di più): "Libertà va cercando ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta".
Ma per noi, grazie a Dio, non è per forza così alto il prezzo per essere liberi di tornare "come prima", liberi di produrre e di consumare, liberi di rimettere in moto il sistema. E se poi dovesse proprio capitare - a nostro nonno con più probabilità che a nostro figlio - c'è sempre quel "sia fatta la volontà di Dio", quasi sempre usata a sproposito perché di convincerci che Dio vuole il nostro bene e non il nostro male proprio non ne vogliamo sapere.
Ma ora basta: su un giornale che si definisce di ispirazione cattolica, un editoriale non può essere condotto tutto sul filo dell'ironia. E allora il suo direttore smette di usarla e torna a considerazioni che spera più serie. La cosiddetta fase due è davvero una buona notizia. Ma è importante che quel sollievo citato all'inizio e quella comunicazione pervasiva e totalizzante non ci tolga, come individui e come società, qualcosa di essenziale: la capacità di pensare. E magari di ripensare modi, abitudini, comportamenti, persino convinzioni nei quali siamo talmente immersi da considerarli leggi di natura.
Libertà è una parola bellissima, ma un po' difficile. La promessa del Signore è "conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". Ma non parla di felicità. Né in quel passo né altrove. Perché la gioia cristiana è qualcosa di diverso dalla felicità che può dare il raggiungimento di un obiettivo materiale o il soddisfacimento di pseudo bisogni più o meno indotti.
È un discorso lungo e complesso, troppo per esaurirlo nello spazio di un articolo. Ma almeno un esempio si può fare. Se il nostro tempo ha un'assioma, un postulato, un "totem", quello è "libero commercio". Bella espressione, come tutte quelle che alla libertà fanno riferimento. Ma occorre mettersi d’accordo su cosa significano. Libero di cosa? E soprattutto libero da cosa? Sembrerebbero giochi di parole, ma sono l’essenza della questione. La “logica” del commercio è quella di vendere al miglior prezzo la maggiore quantità possibile della propria mercanzia, dopo averla acquistata o prodotta al prezzo più basso. E fino a qui siamo nel campo dei problemi che si studiano alle elementari: costo, ricavo, guadagno. La questione è però un po’ meno semplice se il mercato è un po’ più grande di quello che gli scolari fanno con le figurine durante l’ora di ricreazione, almeno come accadeva quando scolaro (poco diligente) era il direttore di Sostae Ripresa (e anche su questo bisognerebbe interrogarsi un po’: chi lo stabilisce che la figurina di Cristiano Ronaldo ne valga due di Immobile e magari tre di Lautaro Martinez?).
Se poi il mercato è il mondo, la questione diventa complessa assai. Alla sola voce “costo” investe, direttamente o indirettamente, tutti i settori fondamentali della convivenza umana, accesso alle risorse, tutela dell’ambiente e della salute, diritto al lavoro, sicurezza sociale, proprietà intellettuale, libertà di pensiero, condizione della donna e dell’infanzia e altro ancora. Coinvolge tutto, fino alle questioni fondamentali della vita e della morte (per miliardi di persone), della pace e della guerra, che magari non sarà la continuazione della politica con altri mezzi, come diceva un celebre studioso di strategia, ma di sicuro è un modo per accaparrarsi risorse o per aprirsi mercati.
Insomma, se la mamma di Pierino va al mercato, come da classica esposizione del “problema” alle elementari, magari i termini dati per trovare la soluzione sono sufficienti. Ma se al mercato ci va tutto il mondo, la soluzione deve tener conto di tante e tali variabili che a fornirla non basta la matematica (neppure quella dell’alta finanza e della macroeconomia), ma occorre la politica.
E allora forse da questa pandemia dovremmo trarre una lezione. Se il contagio di un virus è bastato a far vacillare quel sistema "come prima", forse anche la mamma di Pierino potrebbe voler cambiare mercato, forse sarebbe utile riflettere su un sistema diverso per quel "dopo" che sta già incominciando. Sarebbe utile un po' di contagio del pensiero,