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Leggi sulla poligamia in Kenya e sul matrimonio ”riparatore” in Mozambico

Leggi sulla poligamia in Kenya e sul matrimonio ”riparatore” in Mozambico - Pierluigi Natalia

  

Africa nei medioevi

  

religiosi e culturali

  

 23 marzo 2014 

 

Due notizie dall'Africa, rispettivamente dal Mozambico e dal Kenya, hanno ottenuto durante la settimana appena trascorsa un'insolita attenzione sulla stampa occidentale (nel caso kenyano persino in quella italiana caratterizzata di solito da un acceso provincialismo). Entrambe riguardano, in senso lato, il matrimonio.

A Maputo alcune centinaia di donne mozambicane hanno manifestato venerdì per chiedere la soppressione dal futuro codice penale, sul quale si appresta a decidere il Parlamento, di un controverso articolo di legge, tuttora vigente, che permette agli autori di violenza sessuale di sfuggire al carcere in caso di matrimonio con la vittima. La questione è comunque legale quanto culturale. In Mozambico, come in altri Paesi, infatti, le famiglie spesso obbligano le ragazze a sposare il loro violentatore, come del resto accadeva spesso neanche tanto tempo fa – e in qualche caso accade tuttora - in Italia. La legge mozambicana è un residuo del codice del 1886 del Portogallo, ex Paese coloniale. In Portogallo, ovviamente, la legge in questione è stata abrogata, peraltro non molti anni fa, persino dopo che l'aveva fatto l'Italia, con la riforma del diritto di famiglia che negli anni Settanta cancello anche il cosiddetto delitto d'onore (per dirla con Manzoni, l'onore va a nascondersi in posti strani).

Ma se l'Europa sembra in gran parte uscita dagli aspetti più deteriori del suo Medioevo cristiano (che per molti altri fu invece epoca di grande civiltà) in Africa gli aspetti positivi della modernizzazione non sembrano imporsi con la stessa velocità di quelli negativi, tipo urbanizzazione dissennata, disastri ambientali, corruzione diffusa, localismi e contrasti tra etnie che degenerano in guerre decennali, utili soprattutto al commercio di armi (saldamente nelle mani di soggetti internazionali non africani).

Poche ore prima, a tarda sera di giovedì, il Parlamento kenyota ha approvato una legge in base alla quale gli uomini possono sposare tutte le donne che vogliono, in ossequio a precetti tanto dell'ebraismo veterotestamentario quanto dell'islam. La legge va anzi oltre, dato che non consente alle donne di sottrarsi a questo regime poligamo, come implicitamente previsto dalla tradizione tanto ebraica quanto islamica, quest'ultima di forte influenza dato che un quindo della popolazione è musulmana. Il disegno di legge proposto inizialmente garantiva alle donne la possibilità di rifiutare la scelta del marito, ma i membri del Parlamento hanno superato le divisioni di partito e hanno fatto cadere la clausola. Né a modificare le decisioni è valsa l'ira delle non molte parlamentari e delle esponenti donne del Governo. Del resto, come in molte parti dell'Africa, la poligamia è pratica comune tra le comunità tradizionali in Kenya, oltre che fra musulmani più tradizionalisti.

Dall'acceso dibattito che ha visto soccombere le donne in Parlamento sono emerse sulla stampa alcune “perle”di saccenteria maschile spacciate per rivendicazione di tradizioni culturali. «Quando una donna africana si sposa, lei deve essere cosciente del fatto che una seconda moglie sta per arrivare. E pure una terza. Questa è l'Africa», ha dichiarato uno dei parlamentari. «Ogni volta che un uomo torna a casa con una donna, potrebbe diventare la sua seconda o terza moglie», e ancora «secondo il diritto consuetudinario, le donne che avete sposato non hanno il diritto di sapere se state tornando a casa con un'altra donna. Qualsiasi donna che porti a casa può essere tua moglie», hanno detto altri parlamentari, soddisfatti del voto.

La legge dovrà ora essere promulgata dal presidente della Repubblica, quell'Uhuru Kenyatta eletto un anno fa sebbene la Corte penale internazionale dell'Aja lo avesse già imputato, insieme con il suo vice William Ruto, di crimini contro l'umanità legati alle violenze che segnarono le elezioni del 2007. Scommettiamo che promulgherà la legge e non avrà imputazione alcuna per la palese violazione della Dichiarazione universale dei Diritti umani?

Ma forse hanno ragione i medievali maschi africani e dovremmo prendere esempio anche noi moderni occidentali, magari rivendicando tradizioni cristiane o pseudo tali difese oggi solo da gruppi sparuti, tipo mormomi. In epoca di crisi, con la poligamia (meglio se temporanea, introducendo quel saggio strumento giuridico del ripudio sul quale Gesù Cristo forse ebbe torto a esprimere contrarietà) si eviterebbero in caso di corna rotture delle famiglie (e costose corresponsioni di alimenti, un aspetto non secondario in epoca di crisi economica). E nei casi più difficili non sarebbe male ripristinare il delitto d'onore, quello che per l'omicidio del coniuge prevedeva un massimo di tre anni di carcere. In Italia, tra leggi di indulto e depenalizzazioni varie significherebbe uscire dal processo già liberi. Ovviamente con l'accortezza di specificare che va applicato solo al marito che uccide la moglie e non viceversa, altrimenti con quel residuo testardo di femminismo che sopravvive nel Paese chissà dove andremmo a finire.