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Le elezioni presidenziali in Brasile

Le elezioni presidenziali in Brasile - Pierluigi Natalia


Dilma

all'esame

del voto

  

3 ottobre 2014

 Le elezioni presidenziali in Brasile di questa domenica e l’eventuale ballottaggio del 26 ottobre diranno se il più grande Paese latinoamericano punta ancora sul Partito dei lavoratori, che lo guida da tre mandati presidenziali e, soprattutto, se conferma la fiducia a Dilma Rousseff, vincitrice nel 2011, che si ricandida per un nuovo mandato.

Dilma, come la chiamano tutti, è data per favorita dai sondaggi, per quel che valgono, ma a suo sfavore giocano alcuni fattori da non sottovalutare e che a giudizio di alcuni commentatori potrebbero persino mettere in discussione l'impostazione politica di questi ultimi dodici anni, i suoi quattro e gli otto precedenti con la guida di Luiz Inácio Lula da Silva, forse il più carismatico uomo politico nella storia del Paese che ha contribuito a trasformare. Nessuno può negare, infatti, che siano stati anni di grandi trasformazioni e progressi sociali, con i programmi per l’eliminazione della fame, la scolarizzazione e l’accesso alla casa, che hanno sottratto oltre quaranta milioni di persone dalla povertà, un risultato con pochi paragoni al mondo. Al tempo stesso, la crescita economica del Brasile, uno dei grandi Paesi emergenti, ha consentito il passaggio di molte di queste persone dalla situazione di dipendenza dall'assistenza pubblica all'ingresso nel ciclo produttivo.

Ora però, complice anche la crisi finanziaria ed economica globale che ha accompagnato la presidenza di Rousseff, la crescita economica sta rallentando e i conti incominciano a farsi difficili, per usare un eufemismo. Proprio la gigantesca spesa sociale ha provocato un progressivo aumento del debito pubblico, cosa di per sé necessaria e persino politicamente opportuna in un Paese che si era affacciato nel terzo millennio con decine e decine di milioni di abitanti privi della possibilità di far fronte alle più elementari necessità della vita. Ma il rallentamento della crescita economica ha trasformato questo debito in un macigno che pesa sulle prospettive economiche del Brasile e minaccia di compromettere i bilanci dello Stato e la stessa possibilità di non regredire dalle politiche di inclusione e tutela sociale.

Tutti gli osservatori, anche quelli più favorevoli alle politiche di Lula prima e poi di Rousseff (alla quale il predecessore mantiene intatto il suo sostegno) registrano la delusione non solo tra i fautori di un liberismo estremo, ma anche in quegli strati della popolazione che pure sono stati i principali beneficiari delle scelte governative. Molti sono frustrati per il mancato miglioramento delle loro condizioni di vita al ritmo registrato durante il Governo di Lula e temono l’aumento dei prezzi che erode il loro potere di acquisto. La classe lavoratrice, soprattutto quella di recente emancipazione, si trova infatti oggi a fronteggiare problemi comuni a molte società nelle quali lo Stato sociale traballa. Problemi che vanno dall’accesso all’assistenza sanitaria — dove trovano sempre più spazio i privati a costi che la stragrande maggioranza della popolazione non può permettersi — all’aumento, appunto, del costo della vita.

Non a caso, ha innescare le proteste che per mesi hanno percorso il Paese negli ultimi diciotto mesi – che hanno avuto grande risonanza internazionale soprattutto perché hanno preso di mira la spesa per gli stadi dove si sono disputati i mondiali di calcio - è stato proprio un aumento di tariffe, quelle dei trasporti pubblici. Peraltro, gli oppositori di Rousseff non sembrano poter contare sul fatto che questo disagio si trasformi in consensi elettorali per il loro campo. Bersaglio delle proteste, infatti, sono stati tanto il Governo federale quanto quelli locali, in molti casi guidati dall’opposizione. Così come il Governo federale è il principale, ma non unico bersaglio delle accuse di corruzione. A giudizio di alcuni osservatori, sembra piuttosto possibile che la protesta – e la disillusione per i minori risultatri delle politiche governative rispetto all'epoca di Lula – si trasformino in astensione dalle urne di una parte consistente dei quali 143 milioni di elettori brasiliani.

Per tornare ai sondaggi, gli ultimi danno Rousseff al 47 per cento al primo turno. Segue l’ambientalista Marina Silva — candidata dal Partito socialista (centrista, nonostante il nome) dopo la morte in un incidente aereo del leader Eduardo Campo — alla quale viene attribuito il 24 per cento. Terzo è Aécio Neves, del partito socialdemocratico (di centrodestra), accreditato del 21 per cento. Per la prima volta da mesi, inoltre, i sondaggi stessi danno Rousseff sicura vincitrice al ballottaggio, chiunque sia lo sfidante. Tra l’altro, la stessa presidente, all’immediata vigilia del voto, ha dichiarato di ritenere possibile una mancata elezione al primo turno, dicendosi pronta al ballottaggio.

Sotto questo aspetto il quadro politico sembra mutato. Fino a poche settimane fa, infatti, gli istituti di sondaggi ritenevano che in caso di confronto al secondo turno avrebbe prevalso Silva, che fu ministro con il predecessore di Rousseff, Luiz Inácio Lula da Silva, prima di lasciare il Partito dei lavoratori nel 2008. Secondo le rilevazioni, Silva ha però perso consensi con l’approssimarsi del voto e rischierebbe persino di non accedere al ballottaggio.

I commentatori politici attribuiscono tale caduta di consensi sia al fatto che Silva, originaria dell’Amazzonia e identificata soprattutto come militante ambientalista, non viene accreditata della statura necessaria a guidare un grande e complesso Paese, sia ad alcune sue posizioni in materia economica giudicate di stampo liberista. Silva, prima candidata nera alla presidenza nella storia del Brasile, viene accusata da molti di volere un un’economia di mercato senza rigidi controllo pubblici che minaccerebbe le classi più povere del Paese, composte in gran parte proprio da neri e meticci.

Molti accomunano cioè la candidata del partito socialista a Neves nella vicinanza a quei settori finanziari che puntano su un cambio di Governo, accusando le politiche prima di Lula e poi di Rousseff di aver provocato la stagnazione dell’economia che ora attanaglia il Paese dopo anni di crescita vertiginosa.

A chiarire il quadro politico, oltre al voto per la presidenza, sarà quello contemporaneo per eleggere 27 governatori, 513 deputati dei Parlamenti locali, i 1.069 deputati di quello federale e 27 senatori (un terzo della Camera alta). Anche su questo voto, al di là dei fattori locali, si annuncia una sorta di referendum su Dilma.