Un uomo di sessant'anni, quasi un vecchio, se il falso buonismo della nostra epoca non ci vietasse l'uso di questa parola. Una diciassettenne, poco più di una bambina. Un indiano e una pakistana. Kailash Satyarthi e Malala Yousafzai. Divisi da tutto: età, nazionalità (fra l'altro di due Paesi tradizionalmente nemici). Uniti da una convinzione, quella dei diritti dell'infanzia, che in entrambi si è fatta impegno di vita, lotta personale pesantemente pagata. Quest'anno, il premio Nobel per la pace è andato andato a loro, a Malala Yousafzai, la ragazzina pakistana vittima di un attentato talebano perché voleva che le bambine nella valle dello Swat andassero a scuola, e all’indiano, Kailash Satyarthi, una vita spesa contro il lavoro minorile e i bambini schiavi.
«I bambini devono poter andare a scuola e non essere sfruttati per denaro. Nei Paesi più poveri del mondo, il 60 per cento della popolazione ha meno di 25 anni d’eta; ed è un prerequisito per lo sviluppo pacifico del pianeta che i diritti dei bambini e dei giovani vengano rispettati», si legge nella motivazione del premio. Anche perché «nelle aree devastate dalla guerra, gli abusi sui bambini portano al perpetuarsi della violenza, generazione dopo generazione».
Perché la pace è sempre vecchia e bambina, ma anche i suoi nemici non conoscono età.
Il comitato di Oslo ha premiato una coppia di attivisti di due Paesi che appena poche ore prima avevano visto una sparatoria al confine in cui sono morti 17 civili. Ed anche questa è una lezione. Ancora una volta il doppio premio Nobel, il premio alla causa della pace, contribuisce ad avvicinare Paesi o fazioni rivali, come era accaduto nel 1993 con Nelson Mandela e Frederik de Klerk, il nero e il bianco che avevano messo fine all'epoca dell'apartheid e l’anno dopo al palestinese Yasser Arafat e agli israeliani Shimon Peres e Yitzhak Rabin.
Di diverso, questa volta, c'è che i due premiati probabilmente neppure si conoscono e, certo, non possono essere considerati su posizioni avverse.
Malala Yousafzai era a scuola, quando alle 11, da Oslo è arrivato l’annuncio del Comitato. La diciassettenne pakistana che un sicario talebano, recentemente individuato e arrestato, cercò di assassinare due anni fa nella sua città natale di Mingora proprio per l’impegno a favore dell’educazione delle giovani, aveva iniziato la sua attività di sensibilizzazione e impegno a 11 anni, come blogger per la Bbc, guadagnandosi presto l’ostilità dei talebani a quel tempo impegnati nel forzare alla chiusura le scuole nelle aree sotto il loro controllo. Dopo le cure in Gran Bretagna per le conseguenze del proiettile che ha sfiorato aree vitali del cervello, Malala ora risiede nella città inglese di Birmingham sotto protezione, proseguendo nei suoi studi e nel suo impegno civile con il pieno sostegno della famiglia.
Kailash Satyarthi ha saputo del premio mentre era, come al solito, al lavoro con il suo Bachpan Bachao Andolan (Movimento per la salvezza dei bambini), da tempo una delle organizzazioni più credibili e più influenti al mondo e capofila della Coalizione sulla servitù minorile dell’Asia meridionale, forza trainante dell’iniziativa internazionale Global March.
Inseme costituiscono una speranza e una certezza. La speranza che la causa della pace e della giustizia trovino alfieri in ogni generazioni. La certezza che è una causa alla quale possono arridere successi. La vicenda di Malala ha risvegliato il mondo, se mai ce ne fosse bisogno. La vita di Satyarthi, le sue battaglie coraggiose, sempre pacifiche ma che non arretrano davanti al pericolo personale, testimoniano che combattere e vincere contro il male è possibile. Si calcola che abbia restituito la libertà e il diritto a vivere la propria infanzia e adolescenza a più di 80.000 bambini, piccoli schiavi letteralmente portati via dalle fabbriche con veri e propri blitz. E le sue iniziative hanno ispirato leggi nazionali e internazionali, trattati, convenzioni e riforme costituzionali contro il lavoro minorile.
La sua battaglia è fatta anche di campagne di sensibilizzazione per informare i consumatori su quali siano i prodotti realizzati attraverso l’impiego di manodopera minorile, che nell’Asia costituisce fino a un quarto della forza lavoro non qualificata.