Gli schiavi, le bambine, i migranti
Di Pierluigi Natalia
Ci sono due fenomeni in atto nel mondo, la schiavitù e la tratta di esseri umani, che segnano numerosi Paesi, anche insospettabili. Ci sono due grandi e popolosi Stati, India e Bangladesh, che in queste ore hanno rifiutato di di firmare la prima risoluzione globale contro le nozze forzate tra minori lanciata dalle Nazioni Unite. La risoluzione è sostenuta da 107 Paesi, compresi quelli in cui i matrimoni di bambini sono diffusi come l’Etiopia, il Sud Sudan, la Sierra Leone, il Ciad, il Guatemala, l’Honduras e lo Yemen. C'è una discussione in corso nell'Unione europea, sull'onda dell'emozione per le recenti tragedie della migrazione a Lampedusa e nel Canale di Sicilia, sul ruolo dell'agenzia Frontex, quella che in teoria dovrebbe essere competente per le attività alle frontiere dell'Unione. Argomenti diversi? Forse. Ma sicuramente collegati.
Il Global Slavery Index (indice globale della schiavitù), uno studio condotto in 162 Stati compilato dall’organizzazione australiana Walk Free Foundation (Wff) rivela che in condizione di schiavitù vivono oggi circa trenta milioni di persone. Va subito precisato che nel conto sono compresi diversi casi particolarmente odiosi di matrimoni forzati, una pratiche che andrebbe comunque analizzata a parte. Ma anche escludendo questo aspetto, lo studio conferma che il traffico di esseri umani, schiavi e più ancora schiave, costiuisce ancora oggi uno degli affari criminali più redditizi.
La risoluzione bocciata da India e Bangladesh prevede di includere la lotta alle nozze forzate, premature e tra bambini nell’Agenda internazionale a partire dal 2015. «Il rifiuto dell’India è molto deludente», ha commentato all'Assemblea generale dell'Onu Lakshmi Sundaram, coordinatore internazionale di '”Ragazze non spose”, la coalizione di organizzazioni non governative che si occupano della questione presente all’Assemblea generale dell’Onu. In questo caso, si tratta soprattutto di fenomeni interni ai singoli Paesi, con storie culturali stratificacate che sembrano scandalose soprattutto a a noi occidentali di scarsa memoria (fino a cinquant'anni fa matrimoni di uomini adulti con ragazza minorenni erano la norma anche in Italia. Per esempio, mia nonna si è sposata a 17 anni con un uomo di 27e non se ne è mai pentita). Il fatto che non si voglia affrontare una simile questione a livello di legislazione internazionale nel terzo millennio è comunque inquietante. Con tutti i distinguo del caso e per quanto possa contare la mia opinione, in merito concordo con Sundaram.
Di fenomeno principalmente interno a singoli, sia pur numerosi Paesi si può parlare anche per la schiavitù. In cifra assoluta, l'India si distingue anche in questo, con 14 milioni di schiavi, comprese appunto molte bambine vendute come mogli, ma in termini percentuali e sul piano dell'impatto sociale è la Mauritania, con il 4 per cento della sua popolazione privata della libertà, a detene il triste primato di Paese con la più alta concentrazione di vittime al mondo. In Mauritania, nonostante l’abolizione legale della schiavitù nel 1981, nessun indizio indica che misure reali siano state prese per assicurarne l’abolizione in pratica. Chiunque fugga, ancora oggi, da tale condizione non ha nessuna protezione legale ed è sottoposto a una discriminazione considerevole, mentre – dichiarazioni d'intenti a parte - non c’è riscontro all'asserita volontà ufficiale di intraprendere azioni risolutive per distruggere pienamente questo sistema sociale. «Molti Governi non apprezzeranno quello che abbiamo scritto su questo rapporto - ha detto il presidente della Wff, Nick Gromo - ma la nostra speranza è che si rendano contro che il problema va affrontato e noi possiamo aiutarli». I Governi in questione sono quelli dei Paesi diligentemente elencati nel rapporto, in particolare appunto India, Cina, Pakistan, Nigeria, Etiopia, Russia, Thailandia, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar e Bangladesh che raccolgono sul loro territorio circa il 76 per cento degli schiavi moderni.
Fenomeni in prevalenzza interni, dunque, ma a metterli insieme e a iscriverli nel più generale contesto della mobilità umana, di migranti o di profughi, è il fenomeno della tratta, in gran parte gestitadalle stesse organizzazioni criminalicheorganizzano i cosiddetti “viaggi della speranza”. La questione si intreccia, infatti, anche con la questione migratoria della quale ci si sta occupando oggi in Italia - e in Europa con un'attenzione un po' pelosa, dato che il pendolo dell'opinione pubblica oscilla ora sulla voce pietà, dopo anni di spontaneo o indotto blaterare di respingimenti di invasori potenzialmente portatori di criminalità.
All'atto pratico, però, come scrivevo qualche giorno fa, nessuno sembra davvero disposto ad andare oltre il “mantra” sul fatto che sia l'Unione europea nel suo complesso a dover affrontare la questione, recitato in questi giorni praticamente da tutti, dai governanti italiani come dal primo ministro maltese Joseph Muscat, il cui Governo in materia di respingimenti ha poco da invidiare all'Italia degli ultimi anni, quella della legge Bossi-Fini o del decreto Maroni sulla sicurezza. L'Unione europea non ha mai affrontato strutturalmente la questione, nonostante il varo del Frontrex, che di fatto è solo un coordinamento, finora neppure tanto efficace. Ma di nuove e certe regole gli Stati non vogliono parlare davvero. Se dovessi fare una scommessa, sarebbe sul fatto che nel prossimo vertice europeo non verrà modificato il trattato di Dublino. Questo stabilisce chiaramente che le questioni frontaliere sono competenza degli Stati.
Non ci sono leggi europea sulle migrazioni, non c'è una Marina europea in Mediterraneo, non c'è una politica estera europea sulla questione. Non ci ci sono e allo stato attuale non ci possono essere. Di fatto, tutto quello che può fare l'Europa è sostenere gli sforzi dei singoli Stati sul piano economico. Del resto, la settimana scorsa ad accompagnare a Lampedusa il presidente della Commissione europea, José Manuel Durão Barroso, c'era la commissaria agli affari interni, Cecilia Malmström, e non l'alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Catherine Ashton.
Per inciso, è da notare che ricordarlo è stata la presidente della Camera, Laura Boldrini, una dei pochi rappresentanti italiani titolati a parlare di questi argomenti, dato che il suo impegno in politica data da quest'anno, dopo una vita professionale spesa sulle frontiere di questa tragedia, come portavoce prima del Programma alimentare mondiale dell'Onu e poi dell'Alto commissariato per i rifugiati (meglio specificare che quelli di Boldrini erano incarichi operativi, non di uffici stampa e che sul campo c'è stata davvero).
Sarebbe interessante, che il Parlamento italiano discutesse di queste connessioni, evitando magari di scadere in luoghi comuni.
Proprio i ricercatori del Wff hanno smentito che le pratiche di riduzione in schiavitù siano collegate al tasso di povertà, sottolineando che tra le cause principali c’è la corruzione e l’impunità dei gruppi criminali che lucrano dalla tratta degli esseri umani. Seppure con percentuali minori, neanche l’Europa è libera dalla schiavitù. Il rapporto rivela, infatti, come il continente ospiti al suo interno alcune centrali del traffico e della tratta di esseri umani. Secondo un recente studio della Commissione per la criminalità organizzata, sono almeno 800.000 le persone residenti in Paesi europei in condizioni di schiavitù. Del resto, i dati della Wff sono confortati da quelli della Commissione per la criminalità organizzata, corruzione e riciclaggio di denaro in Europa (Crim),secondo i quali sono almeno 800.000 le persone residenti in paesi europei in condizioni di schiavitù e 270.000 quelle sfruttate sessualmente.
Per quanto riguarda l'Italia ha provveduto a fornire dati certi il “Primo rapporto di ricerca sulla tratta e il grave sfruttamento”, presentato proprio oggi da Caritas italiana e dal Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza (Cnca), che lo hanno realizzato con la collaborazione del Gruppo Abele e dell'associazione On the road. La ricerca ricostruisce l’evoluzione del fenomeno e analizza il funzionamento del sistema di produzione sociale rivolto alle vittime. Il rapporto conferma che negli ultimi anni si sono registrati non solo “nuovi” tipi di tratta finalizzati all’accattonaggio forzato e ad attività illegali coercitive, ma anche casi di vittime soggette a sfruttamento multiplo (donne costrette a prostituirsi e a spacciare; uomini obbligati a vendere merce, a elemosinare e a spacciare). A gestire la tratta sono sempre più gruppi criminali radicati nei Paesi di destinazione – le mafie sanno mettersi d'accordo meglio dei Governi, anche se come questi e come le multinazionali talora si fanno la guerra - con collegamenti transnazionali e capacità di abbinare la tratta e lo sfruttamento ad altre attività. Dal 2006 al 2012 i servizi di aiuto alle vittime sono entrati in contatto con oltre 65.000 persone; di queste, 21.378 hanno deciso di entrare in un programma di protezione e assistenza sociale. Per quanto riguarda l’età, continuano a essere sfruttate nella prostituzione soprattutto le giovani tra i 18 e i 25 anni. I Paesi di origine principali delle vittime assistite dagli enti sono la Nigeria e la Romania; in costante crescita il Brasile, il Marocco, la Cina; si registra, infine, il ritorno dell’Albania. «Si esorta il Governo italiano a impegnarsi in maniera diretta, efficace, coerente e continuativa contro la tratta di persone, in tutte le sue forme — ha dichiarato don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana — adottando un approccio fondato sui diritti umani e garantendo l’assegnazione di risorse umane e finanziarie adeguate».
Per le connessioni con il fenomeno di migranti e profughi, i rapporti citati confermano dati noti. Tuttavia è significativo che diverse “anime belle” della politica italiana, ma anche europea, sembrino averli scoperti solo ora. L'arrivo di molti siriani a Lampedusa e in altri porti italiani ha suggerito ad alcuni la possibilità di sostenere che parlare oggi di accoglienza dopo aver parlato e legiferato per anni riguardo ai respingimenti in mare (con o senza prendere a cannonatei gommoni, come suggerito non tanto tempo fa da forze politiche all'epoca di governo e tuttora rappresentate in Parlamento) sia legittimo in quanto ora si tratta di profughi di guerra mentre all'ìepoca si trattava solo di migranti. Il che è ovviamente un'evidente balla detta in palese malafede. I flussi di mobilità umana sono misti da decenni. E gli africani giunti attraverso il mare sono praticamente tutti provenienti da Paesi in guerra. Lo sanno tutti e se qualcuno fa finta di ignorarlo o mente o è inquietante che stia in Parlamento. Anche se da qualche anno a questa parte la tratta di donne, in questo caso presumibilmente consensienti, a domicilio di gente potente e denarosa è stato uno dei modi per fare carriera politica.
Ma anche ammesso che la vicenda siriana ne abbia accresciuto le dimensioni, va aggiunto che le strette connessioni tra le crisi nel Maghreb e nel Medio Oriente e i fenomini di mobilità, compresa la loro porzione illegale, erano previsti e analizzati da anni. Due anni fa, per esempio, lo fece il Forum sociale mondiale, tenuto a Dakar, in Senegal.Tra le proposte più significative del Forum ci una una Carta dei migranti, messa a punto proprio da loro. Centinaia di delegati di persone costrette a lasciare i loro Paesi, soprattutto africani, lo fecero in un'assemblea nell’isola di Gorée, nella baia di Dakar, da dove partirono milioni di schiavi per le Americhe.
Un chiaro valore simbolico fu dato alla scelta di questo luogo, oggi patrimonio dell’umanità, proponendolo come monito da un lato a riscattare l'epoca della tratta, quando sulla schiavitù eyopei e amercani costruivano laloro ricchezza, e dall'altro a non rendere le rotte della mobilità un modo per ridurre di nuovo in schiavitù tanti esseri umani. «Gorée 2011» disse con chiarezza che la strage delle migliaia di persone morte nel tentativo di raggiungere un futuro migliore è un aspetto di questa tragedia e chiese modelli diversi da quelli finora perseguiti per rispondere ai fenomeni migratori. In questo, indicò come fondamentale la tutela delle donne e dei giovani, per non dire i bambini, cioè le vittime privilegiate dei trafficanti di esseri umani che sfruttano la disperazione di tanti infelici.
“Cuore di tenebra” di Conrad, uno tra i più importanti libri mai scritti sulla schiavitù, non è un documento del passato. La schiavitù non è una cicatrice: è una ferita che sanguina. Oggi.