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La recente politica francese in Africa

La recente politica francese in Africa - Pierluigi Natalia

  

Allons enfants...

  

de la grandeur

 

  

17 dicembre 2013

 Allons enfants... De la patrie? Non proprio. De la colonization? Fuochino. De la grandeur? Forse ci siamo. Giudicare i popoli in base ai loro governanti non è mai un'operazione intelligente. Tanto più per chi, come chi scrive, dovrebbe allora abbastanza vergognarsi di essere italiano. Ma certo, quell'idea di grandezza mista ad aggressività la storia francese se la porta dietro da sempre, da Carlo Magno al Re Sole, da Napoleone a De Gaulle. Ultimo arrivato a mostrarsi convinto – nei fatti se non con le parole – che i valori si affermaino sulla punte delle spade (oggi cacciabombardieri) è il socialista (?) François Hollande. Sotto la sua ancor breve presidenza, neanche fosse un Bush qualsiasi, i francesi sono andati a fare la guerra in Libia, in Mali e in Repubblica Centroafricana (più qualche intervento minore in Ciad, in Costa d'Avorio e altrove). In Siria ci hanno provato, ma alla fine Obama ha frenato questi suoi alleati un po' più bellicosi di lui, che pure l'idea di un attacco armato ad Assad l'ha accarezzata a lungo.

In Siria no, dunque, ma nessuno è riuscito a impedire ai francesi di andare a combattere in Africa, ovviamente “contro il terrorismo e per la democrazia”, come gli angloamericani (e alleati) in Iraq e in Afghanistan, per non parlare di altri scenari di guerra. Anzi, Parigi ha avuto pieno avallo ai suoi interventi in sede di Consiglio di sicurezza dell'Onu, dove ha diritto di veto grazie al fatto che De Gaulle non si rassegnò alla conquista nazista e continuò a fare la guerra in divisa, mentre le altre resistenze europee le divise non le indossavano e, quindi, al tavolo dei vincitori non ebbero neppure uno strapuntino. Lo schema seguito in Mali come nella Repubblica Centroafricana è quello di interventi paralleli di truppe africane e di contingenti francesi. Nel secondo caso, tra l'altro, le truppe africane provengono tutte da Paesi, come Ciad, Camerun, Repubblica del Congo, a forte influenza francese.

Non è un caso che mentre la situazione in Centroafrica precipitava e quella in Mali confermava come almeno premature le affermazioni di Hollande, questi abbia presieduto a Parigi un vertice – ovviamente “per la pace e la sicurezza” - al quale hanno partecipato una cinquantina di capi di Stato e di Governo africani, il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e i rappresentanti dell’Unione africana e dell'Unione europea. Nel documento approvato nella riunione si parte affermando che l’Africa deve «provvedere da sola alla propria sicurezza», ma subito si aggiunge che la Francia mette a disposizione dell’Unione africana la sua “expertise militare” per formare ogni anno 20.000 soldati africani allo scopo di «rendere operativa la Capacità africana di reazione immediata alle crisi (Caric) nel 2015», come ha commentato entusiasticamente il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian.

Questo primo vertice franco-africano sotto la presidenza Hollande è stato pesantemente criticato da alcuni analisti e difensori dei diritti umani che considerano l’ex potenza coloniale «parte dei problemi attuali del continente, ma non della soluzione», come si è espressa l’associazione francese Survie, denunciando «il rafforzamento della capacità di intervento delle forze francesi in Africa» e un discutibile processo di «legittimazione della sua ingerenza militare attraverso una propaganda circa operazioni attuate a nome della difesa dei diritti umani, ma che in realtà sono al servizio degli interessi francesi».