di Pierluigi Natalia
Toni di assoluta condanna, ma anche sforzi di riflessione stanno segnando in queste ore i commenti sulla vicenda della processione a Oppido Mamertina, durante la quale alla statua della Madonna è stato fatto fare un inchino davanti alla casa di un boss della 'ndrangheta. La vicenda non è certamente la prima del genere in zone dove il pervertimento del sentimento religioso si accompagna spesso all’azione della criminalità e a un’acquiescenza, dettata da paura o interesse, purtroppo ancora diffusa tra le popolazioni. A renderla di stretta attualità sono state le parole di Papa Francesco nella recente e visita in Calabria, quando a Sibari ha detto che appartenere alla ’ndrangheta significa essere fuori dalla comunione ecclesiale. A molti quella a Oppido Mamertina è sembrata proprio una risposta e una sfida al Papa.
Dopo la vicenda, documentata dal comandante della stazione locale dei Carabinieri, il maresciallo Andrea Marino, che ha lasciato la processione e ha ripreso la scena, come sempre accade, non sono mancati gli “alti lai” della politica e delle istituzioni, con rappresentanti tutti allineati a esaltare le parole del Papa e a condannare l'accaduto. Di «rituali deplorevoli e ributtanti», ha parlato il ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Ha invece in parte minimizzato il sindaco della città, Domenico Giannetta, secondo il quale «la ritualità di girare la Madonna verso quella parte risale a più di trent’anni fa, anche se questa non deve essere una giustificazione».
Più articolato è stato il giudizio dei diversi rappresentanti della Chiesa. Secondo il vescovo di Cassano allo Jonio e segretario della Conferenza episcopale italiana, monsignor Nunzio Galantino, «proprio per quanto è successo resta fortissima l’importanza di quanto ha detto Papa Francesco a Sibari». «Non c'è nessun margine e nessuna possibilità di commistione tra fede e malavita», ha aggiunto, ricordando che «deve essere forte l’impegno della Chiesa per tradurre in fatti le parole del Santo Padre». In questo «esistono due livelli sui quali occorre intervenire. Il primo riguarda la condanna dei malavitosi, di una condotta di vita non compatibile nel modo più assoluto con il Vangelo. Poi c’è il livello che riguarda l’intera comunità civile e religiosa». Si tratta, in questo caso, di «estirpare una radice culturale».
Da parte sua, il vescovo della diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, monsignor Francesco Milito, ha aperto un’indagine sull’accaduto e ha annunciato provvedimenti, ricordando però come Papa Francesco abbia invitato a fare attenzione a non lasciare soli vescovi e parroci. «Non voglio fare una difesa d’ufficio, ma so che le processioni sono eventi di massa che finiscono per inglobare anche ambienti estranei alla parrocchia», ha detto il presule.
Saranno pure estranei, ma non mancano nella Chiesa quanti sostengono che che questa estraneità i rappresentanti della Chiesa la devono comunque evidenziare. «Quando i carabinieri hanno lasciato, i preti dovevano scappare dalla processione. Avrebbero dato un segnale e di questi segnali abbiamo bisogno», ha detto l'arcivescovo di Cosenza e presidente dei vescovi calabresi, monsignor Salvatore Nunnari. Lo stesso Nunnari ha detto che in simili situazioni non sarebbe male vietare le processioni per qualche anno dato che quanto accaduto non è solo «un episodio doloroso da esecrare, ma anche da leggere in un contesto preciso di una realtà che tarda a cambiare e che purtroppo trova implicato anche qualche prete».
Alle parole del Papa a Sibari è direttamente legata anche la decisione di disertare la Messa annunciata da duecento detenuti del carcere di Larino, in Molise, dove lo stesso Papa Francesco ha incontrato sabato i detenuti del carcere di Isernia. Secondo alcuni commentatori, anche cattolici, si è trattato di un gesto senza attenuanti, sia di ritorsione alla scomunica considerata come un affronto sia di messaggio a chi sta fuori dal carcere. A molti quanto accaduto a Larino ricorda il precedente del 1984 nel carcere palermitano dell’Ucciardone. All’epoca i detenuti non parteciparono alla Messa celebrata dal cardinale arcivescovo, Salvatore Pappalardo, a causa della dura condanna della mafia e delle istituzioni imbelli nell’omelia da questi tenuta ai funerali del prefetto Carlo Dalla Chiesa, quella con la celebre citazione «mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata».
L’arcivescovo di Campobasso Giancarlo Bregantini, che da vescovo di Locri divenne un simbolo della resistenza alla ‘ndrangheta, sottolinea comunque come nei penitenziari italiani, compreso proprio quello visitato dal Papa, ci sia stata una diffusa richiesta ai cappellani di chiarimenti e di aiuto nella riflessione.