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L'incubo della guerra

L'incubo della guerra - Pierluigi Natalia

  

Le donne ucraine

  

a Roma

  

3 marzo 2014

 

Farsi un giro di giovedì pomeriggio o di domenica in quei due o tre posti di Roma dove s'incontrano le non poche donne ucraine che lavorano tra noi aiuterebbe a chiarirsi le idee a quei tanti rappresentanti politici che parlano un po' troppo per frasi fatte. Integrità territoriale, per esempio, è una di quelle espressioni che in Ucraina non hanno proprio la stessa genesi di Paesi dell'Europa occidentale (che peraltro le sue guerricciole in merito npon le ha mai smesse). La Crimea, per esempio, all'Ucraina venne “regalata” dall'allora segretario del partito comunista dell'Unione Sovietica, Nikita Sergeevič Chruščëv, in cambio di territori in precedenza ucraini annessi alla Russia. Ma all'epoca, appunto, c'era l'Unione Sovietica e chi comandava a Mosca comandava anche a Kiev, quindi non faceva una grande differenza.

Il pericolo è che ora – con un ventennio di ritardo – si possa riproporre quanto avvenuto nell'ex Jugoslavia. Il nazionalismo è un gran brutto consigliere. Dopo il fondamentalismo religioso, infatti, è il principale strumento di propaganda per i fautori della guerra (quella, giova ricordare, che si fa soprattutto per vendere o “smaltire” armi e per accaparrarsi le risorse). Nella scala degli orrori, del resto, i pogrom religiosi e i genocidi etnici si dividono il gradino più alto.

In Crimea, in maggioranza, sono tatari di lingua russa, non ucraini. Il che non significa che non possano vivere in pace con questi ultimi. Ma certo quanto sta accadendo in queste ore sembra quasi la ripetizione meccanica di schemi tante volte sperimentati. Per esempio, dare passaporti russi a cittadini stranieri per avere poi il pretesto di inviare truppe con la scusa di difenderli è un escamotage che il presidente russo, Vladimir Putin, ha già usato in passato, per esempio in Ossezia.

Dopo quello della Crimea, proprio oggi anche il Parlamento della regione di Donetsk, nell'Ucraina orientale, ha annunciato di voler convocare un referendum sullo status della regione, in parole povere sulla secessione. La parte orientale dell'Ucraina è appunto quella filorussa.

E allora forse giova tornare alle donne che s'incontrano di giovedì pomeriggio e di domenica a Roma, che si ripetono notizie arrivate da casa e sono accomunate da legittime preoccupazioni. Di Putin e del presidente ucraino, Victor Junaković, costretto a scappare in Russia, non si fida nessuna. Eppure Junaković aveva vinto elezioni giudicate regolari da tutti gli osservatori. E allora perché?

Perché queste donne vengono tutte dalle regioni occidentali, per esempio dall'area di Leopoli. E questo spiega la situazione molto meglio di tante dotte analisi di analisti politici e strutture di crisi messe in piedi dai vari Governi. Le regioni occidentali sono quelle dove resta ancora in piedi un sistema industriale che da più o meno lavoro a quasi tutte le famiglie. L'est ucraino, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, è scivolato via via in una decadenza economica progressiva. A emigrare sono i poveri, non i ricchi, da tutti i Paesi e in tutte le epoche. L'Ucraina non fa eccezione. Come detto, in questo caso si tratta soprattutto di immigrate, in maggioranza badanti e domestiche. Persone che vivono nelle nostre famiglie e vi svolgono un ruolo essenziale, ma che lo loro famiglie hanno lontane. E ora le sanno minacciate da una possibile guerra civile tra quanti in Ucraina guardano all'Unione europea e quanti guardano a Mosca. E forse non è un caso che tutte – davvero tutte – concordino nel ritenere che il crollo dell'Unione Sovietica per le loro famiglie e per loro stesse sia stato una iattura, con buona pace dei cantori delle magnifiche sorti e progressive del libero mercato.

Tra i tanti luoghi dove hanno passato la giornata domenicale, ieri, per alcune c'è stata anche Piazza San Pietro. Sotto gli ombrelli che riparavano dalla pioggia battente, hanno ascoltato l'Angelus di Papa Francesco. Di certo si sono concentrate sull'appello che il Papa ha fatto per il loro Paese. «Cari fratelli e sorelle – ha detto il Papa - vi chiedo di pregare ancora per l’Ucraina, che sta vivendo una situazione delicata: mentre auspico che tutte le componenti del Paese si adoperino per superare le incomprensioni e per costruire insieme il futuro della Nazione, rivolgo alla comunità internazionale un accorato appello affinché sostenga ogni iniziativa in favore del dialogo e della concordia».

È difficile dire quanta speranza abbiano tratto quelle donne da quelle parole. Ancora più difficile, però, è sperare che i responsabili della comunità internazionale sappiano mettere questo appello – e i concetti di dialogo e di concordia – anche in relazione a quanto Papa Francesco aveva detto poco prima a proposito del posto di Dio nel cuore dell’uomo, messo in forse troppo spesso dal desiderio della ricchezza.

«Un cuore occupato dalla brama di possedere — ha detto il Papa — è un cuore vuoto di Dio. Per questo Gesù ha più volte ammonito i ricchi, perché è forte per loro il rischio di riporre la propria sicurezza nei beni di questo mondo». Se invece si mette Dio al primo posto, «il suo amore — ha spiegato — conduce a condividere anche le ricchezze, a metterle al servizio di progetti di solidarietà e di sviluppo». Dunque, se confidando nella provvidenza di Dio «cerchiamo insieme il suo Regno, allora a nessuno mancherà il necessario per vivere dignitosamente». Al contrario, finché «ognuno cerca di accumulare per sé, non ci sarà mai giustizia». «La strada che Gesù indica può sembrare poco realistica rispetto alla mentalità comune e ai problemi della crisi economica - ha detto il Papa - ma, se ci si pensa bene ci riporta alla giusta scala di valori. Egli dice: “La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?”».

La pace non vale più di un cellulare di ultima generazione? La giustizia, anche distributiva, non vale più dell'accumulo forsennato di privilegi e di potere? La comune umanità non vale più dell'etnia? Essere con gli altri e per gli altri non è più saggio che essere contro?