Sono circa quaranta milioni, secondo i dati dell'Onu, i profughi in giro per il mondo, senza considerare altrettanti sfollati interni in Paesi teatro dio conflitti. Quaranta milioni, meno diverse decine di migliaia morti nel tentativo di trovare scampo dalla guerra (o dalla fame, dato che oggi anche i migranti sono di fatto profughi e che è praticamente impossibile distinguere gli uni dagli altri nei flussi della mobilità umana). In molti giacciono sul fondo del Mediterraneo.
In un fenomeno epocale – mai in passato aveva assunto simili dimensioni - dovrebbero suscitare sarcasmo, prima ancora che sdegno, le posizioni di quelle forze politiche (e di quei Governi) che sollecitano gli istinti più bassi dei propri “elettorati di riferimento”, in ossequio alla vecchia regola – una volta si sartebbe detto di destra – del “mettigli paura e indicagli un nemico”.
Ma purtroppo c'è poco da ridere o da irridere. Quelle posizioni trovano infatti sempre più ascolto e producono sempre più comportamenti conseguenti. In gran parte della stampa occidentale – e quella italiana spicca in questo senso – si è persa da tempo la capacità di incrociare i dati. Se ne è avuta l'ennesima dimostrazione all'inizio di maggio, quando nello stesso giorno sono stati diffusi due rapporti annuali: la «Panoramica globale 2015: le persone sfollate dal conflitto e la violenza», quello congiunto presentato a Ginevra dall'alto commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhcr) e dall'organizzazione non governativa Norvegian Refugee Council (Nrc), e quello pubblicato a Bruxelles dall'l’European Network Against Racism (Enar).
Dal primo risulta che l'attacco del cosiddetto Stato islamico (Isis) in Iraq ha costretto in un anno, il 2014, due milioni e duecentomila persone a lasciare le loro case, il che ha contribuito a far raggiungere il livello più alto di sempre al numero dei profugh, dentati trentotto milioni. Il numero è in aumento per il terzo anno consecutivo, ma in questo caso con una dimensione particolarmente rilevante, con undici milioni di sfollati interni in più. Secondo il rapporto, il 60 per cento di queste persone si trovano in cinque Paesi: Iraq, Sud Sudan, Siria, Repubblica Democratica del Congo e Nigeria. Proprio l'Iraq è quello che ha fatto registrare l'aumento maggiore, mentre come numeri assoluti la situazione più grave resta quella della Siria, che ha oltre metà della sua popolazione nella condizione di profugo, con 7,6 milioni di sfollati interni e oltre tre milioni di rifugiati all'estero. Lo studio sottolinea inoltre che per la prima volta da oltre un quindicennio (cioè dal conflitto in Kosovo) l’Europa ha registrato massicci spostamenti forzati a causa del conflitto in Ucraina, dove 646.500 persone hanno lasciato le loro case nel 2014.
Il rapporto dell'Enar è invece relativo al 2013. Vi si documentano oltre 47.000 crimini a sfondo razziale contro le minoranze, in particolare ai danni di ebrei, neri, musulmani, rom e asiatici. Il dato, sottolinea lo studio, rappresenta solo la punta di un iceberg, visto che la gran parte dei reati di questo tipo non vengono nemmeno denunciati e che la stampa spesso non riporta molti fatti di cronaca nera per quello che realmente sono, cioè crimini con motivazione razziale. Inoltre — si legge sempre nel rapporto — la maggior parte dei Paesi europei non affronta n modo appropriato su queste vicende. Questo riguarda soprattutto l'Italia (insieme con la Repubblica Ceca) dove su circa il quaranta-sessanta per cento dei reati a sfondo razziale la polizia non indaga in modo soddisfacente. Una sottovalutazione che non coinvolge solo le forze dell’ordine, ma anche la magistratura. Nel dettaglio, si registra un aumento di antisemitismo in Bulgaria, Danimarca, Germania, Ungheria, Olanda e Svezia; un significativo aumento dei casi di islamofobia è invece segnalato in Francia, Inghilterra e Galles. Crescono anche i casi di violenze e abusi contro i rom in tutta l’Europa. In Estonia, Grecia, Italia, Polonia e Svezia si sono verificate le aggressioni più violente contro cittadini neri o asiatici.
È anche e soprattutto alla luce di questi dati che andrebbero valutate le affermazioni delle forze politiche e dei rappresentanti governativi e valutata la loro attendibilità (parlare di statura morale e sociale sembra troppo). Così come peraltro i comportamenti pubblici e privati.