Bruxelles, 2. Un’ottantina di delegazioni governative s’incontrano oggi a Bruxelles per il vertice tra Unione europea e Unione africana. L’obiettivo dichiarato da tutti i partecipanti è rafforzare i rapporti tra i due continenti concentrandosi su immigrazione, sicurezza e sviluppo, ma gli europei puntano anche ad accordi di partenariato economico per contrastare l’agguerrita concorrenza che giunge da altri continenti. L’Ue è ancora il primo partner per l’Africa sia negli investimenti diretti (221 miliardi di euro) sia negli aiuti allo sviluppo (18,5 miliardi nel 2012, il 45 per cento del totale), ma è in forte aumento la penetrazione sui mercati africani di altri soggetti, prima fra tutti la Cina, ma anche, per esempio, il Giappone, fortemente interessato alle risorse energetiche africane dopo la sua scelta di rinuncia al nucleare. Così come sono in crescita i rapporti dei Paesi africani con quelli sudamericani, a incominciare dal Brasile.
Proprio sulla questione energetica, la Banca mondiale, presente anch’essa al vertice a Bruxelles, ha denunciato una situazione definita di apartheid energetico in cui si trova l’Africa. In un continente ricchissimo di risorse, infatti, la gran parte della popolazione non ha accesso all’elettricità.
Più in generale, al sottosviluppo africano danno un contributo determinante, oltre a corruzione e altre attività criminali, gli illeciti fiscali che sottraggono ogni anno tra i 50 e i 60 miliardi di dollari e dei quali si rendono responsabili soprattutto le multinazionali. A queste conclusioni giunge uno studio, presentato ieri nella capitale nigeriana Abuja, durante un incontro organizzato dall’Unione africana e dalla Commissione economica per l’Africa. L’agenzia di stampa Misna, nel darne notizia, specifica che il rapporto è stato realizzato dal Gruppo di esperti di alto livello sui flussi finanziari illeciti, presieduto dall’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki.
Al vertice di oggi a Bruxelles non partecipa l’attuale capo di Stato sudafricano, Jacob Zuma, che ha rinunciato a guidare la delegazione del suo Paese, principale economia continentale. C’è invece il presidente nigeriano Goodluck Jonathan, che nei giorni scorsi ha spinto la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas nell’acronimo in inglese) a rinviare l’adesione agli accordi di partenariato economico con Bruxelles. L’Ecowas li ha definiti poco convenienti per l’Africa, il che spinge gli osservatori a ritenere l’incontro di oggi particolarmente delicato.
Il termine partenariato, peraltro, si presta spesso a coprire intese che di paritario hanno ben poco. L'interventismo economico straniero in Africa, oltre che dalla fame di risorse energetiche, è determinato da quella di altre materie prime, a partire da quelle agricole. Il problema dell’accaparramento dei terreni da parte dei Paesi più ricchi, ma anche dei partner emergenti, è sempre più evidente: ogni anno a livello mondiale si acquistano 45 milioni di ettari a fini agricoli, di cui il 60 per cento proprio in Africa. Sono passati tre anni dalla conferenza internazionale sulla sicurezza alimentare nel mondo, organizzata dal Comitato economico e sociale (Cese), la voce della società civile in Europa, in collaborazione con la Commissione europea, in cui venne posto senza mezzi termini la «questione morale planetaria» della necessità di assumere decisioni politiche per uscire dalla fame. Da allora la situazione è anche peggiorata, senza che si notino progressi lunga la strada che il direttore del Cese, Staffan Nilsson, definì «di un’agricoltura sostenibile e inclusiva, senza dimenticare che nel mondo l’agricoltore è più spesso donna».
Così come alla voce sicurezza si riconducono spesso operazioni magari necessarie, ma comunque legate a un tipo di economia basate in parte rilevante sulle spese militari. Il vertice di oggi a Bruxelles, al quale interviene il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, è stato preceduto dal via libera dato ieri dall’Unione europea alla sua missione militare nella Repubblica Centroafricana, l’Eufor Rca, che impiegherà sino a mille uomini, sotto il comando del generale francese Philippe Pontiès, in operazioni nella zona della capitale centroafricana Bangui e del suo aeroporto. Fortemente voluta dalla Francia, che stamani, subito prima del vertice, ha presieduto una riunione specifica su questo aspetto, la missione costerà 26 milioni di euro per un mandato di sei mesi. Sulla questione è intervenuto anche Ban Ki-moon al suo arrivo a Bruxelles, che si è detto convinto dell'opportunità dell'intervento militare, anche se non solo.. «Farò appello a tutti i Paesi a fornire ulteriori truppe, polizia e sostegno finanziario alla Repubblica Centroafricana», ha detto il segretario generale dell’Onu, secondo il quale occorre agire rapidamente per aiutare la popolazione.