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Il Vaticano e il conflitto in Siria

Il Vaticano e il conflitto in Siria - Pierluigi Natalia

 

Diplomazia

  

papale  

  

13 gennaio 2014

 

La cessazione immediata della violenza in Siria; l’avvio della ricostruzione; il dialogo tra le comunità; i progressi nella risoluzione dei conflitti regionali; la partecipazione di tutti gli attori regionali e globali al processo di pace. Sono questi i presupposti e al tempo stesso gli scopi che la conferenza internazionale sulla Siria, fissata per il 22 gennaio prima a Montreux e poi a Ginevra, deve prefiggersi per arrivare a una pace duratura. Lo sostiene la dichiarazione conclusiva, indirizzata a Papa Francesco del seminario sulla crisi siriana tenuto ieri in Vaticano per iniziativa della Pontificia Accademia delle Scienze. Vi hanno partecipato personalità religiose e laiche di tutto il mondo (per l'Italia, c'erano Romano Prodi e l'ambasciatore Antonio Zanardi Landi).

Il documento, pur in presenza di una situazione drammatica, ha un’impostazione fortemente propositiva. Vi si sostiene, infatti, che l’orrore della violenza e della morte in Siria ha condotto il mondo a una rinnovata riflessione, e quindi a una nuova possibilità di pace. Dopo aver esaminato gli aspetti umanitari, sociali e religiosi che possono e devono favorire la fine del conflitto, il documento sottolineano che la guerra in Siria è stata alimentata dalle rivalità e dalla profonda sfiducia nella regione, più ancora che dai conflitti interni. Di conseguenza, «la conferenza Ginevra 2 deve garantire la partecipazione inclusiva di tutte le parti del conflitto, sia all’interno della regione che oltre».

In merito, il seminario ha ritenuto particolarmente degno di nota il recente accordo tra l’Iran e i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania, per raggiungere un consenso sul programma nucleare iraniano. «Questo accordo interinale dà al mondo la grande speranza che il periodo prolungato di grave sfiducia tra l’Iran e altre nazioni della regione e oltre possa ora essere seguito da una nuova era di fiducia e persino di cooperazione». Cosa che avverrebbe anche nel caso di un passo avanti nei negoziati di pace israelo-palestinesi, in corso sotto l’egida degli Stati Uniti.

Di fatto, la diplomazia vaticana, con questa iniziativa, punta a superare gli schemi rigidi di contrapposizioni senza uscite. Del resto, lo aveva già fatto Papa Francesco quando sembrava ormai inevitabile un attacco armato internazionale, guidato dagli Stati Uniti, per la vicenda dell'uso nel conflitto di armi chimiche, attribuito da Washington e da altri all'esercito governativo.

Di “sparigliare”, come si dice in certi giochi di carte, c'è bisogno anche in questo ben più drammatico gioco di guerra e di interessi. La logica delle contrapposizioni internazionali ha infatti aggravato la situazione siriana.

Un'analisi senza pregiudizi di quanto accaduto negli ultimi quattro anni – e tale è quella fatta durante i lavori del seminario vaticano – dimostra infatti che crisi in Siria, poi sfociata in guerra civile, è avvenuta in due fasi. La prima, dal gennaio 2011 al marzo 2012, è stata sostanzialmente una questione interna, inscrivibile nel clima della cosiddetta primavera araba. Le proteste contro il Governo di Assad, nate nella concomitanza di una massiccia siccità e di un'impennata dei prezzi, si trasformarono quasi subito in una ribellione, con numerosi reparti militari che si schierarono contro il Governo, costituendo il cosiddetto dato vita all’Esercito siriano libero. Fu la confinante Turchia, probabilmente, il primo Paese esterno a sostenere la ribellione sul campo, offrendo protezione alle forze ribelli lungo la frontiera.

In ogni caso, nonostante l’escalation di violenza, il numero delle vittime rimase relativamente contenuto. A farle diventare decine di migliaia, e poi centinaia di migliaia, fu la svolta registrata all'inizio di aprile 2012, quando un gruppo di 83 Paesi, guidati dagli Stati Uniti, riconobbero il Consiglio nazionale siriano (oggi confluito nell'omonima coalizione) come interlocutore. Alcuni giorni prima, Assad aveva accettato il piano di pace dell’ex Segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, che prevedeva un cessate il fuoco, seguito da una transizione politica negoziata, ma né il presidente siriano né i suoi oppositori vi avevano dato seguito nei fatti.

Al tempo stesso, l'allora segretario di Stato americano, Hillary Clinton sosteneva che Assad dovesse lasciare il potere entro tempo brevi e certi. Già all'epoca, diversi osservatori notarono come questa dichiarazione mettesse gli Stati Uniti in una situazione di effettiva opposizione all’iniziativa di pace delle Nazioni Unite.

La Russia e la Cina, oltre a tentare di difendere i propri interessi nella regione, rifiutarono l’idea del cambio di regime in Siria guidato da Washington, sostenendo che l’insistenza sulla destituzione di Assad fosse un ostacolo alla pace e i fatti si sono incaricati di dimostrare che probabilmente era vero. La Russia, comunque tentò un approccio pragmatico per proteggere i propri interessi commerciali in Siria e la propria base navale nel porto di Tartus. Tuttavia continuò a fornire armi al Governo siriano. In seguito, peraltro, emerse chiaramente che altrettanto facevano Stati Uniti e altri Paesi con i ribelli. Di conseguenza, grazie soprattutto alle forze internazionali in campo, la contesa diventò una guerra civile foriera di gravi sviluppi non solo a livello regionale, ma secondo alcuni analisti persino a rischio di innescare una guerra gliobale.

Come spesso accade, la componente religiosa ha avuto un suo peso. Il conflitto siriano vede contrapposto un Governo che è principalmente alawita, ma include anche alcuni drusi, sunniti e cristiani, contro un’opposizione che è largamente Sunnita, ma include a sua volta alcuni alawiti, drusi e cristiani. Sul piano inernazionale, però, s'inscrive soprattutto nello scontro interno al mondo islamico tra sunniti e sciiti. Oltre alla Russia, a sostenere Assad sono l’Iran sciita, che teme l’espansionismo del wahabismo, una forma di sunnismo estremista, e gli hezbollah sciiti del Libano. L’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo persoco contro la cosiddetta mezzaluna sciita” (appunto Iran, Siria ed hezbollah) finanziano i gruppi jihadisti.

L'uso delle armi chimiche, probabilmente da parte di entrambi i fronti, sebbene le indagini dell'Onu non ne abbiano potuto stabilire la responsabilità, spinsero gli Stati Uniti ad alzare la posta in gioco. Ignorando l'Onu, il Governo di Washington dichiarò di avere prove della colpevolezza di Assad e e si disse intenzionato a intervenire direttamente bombardando la Siria.

A impedire un allargamento del conflitto dagli esiti imprevedibili, ma comunque drammatici, contribuì l'azione di Papa Francesco, che attivò tutti i canali possibilia. «Purtroppo – scrisse nel messaggio indirizzato al presidente russo Vladimir Putin all'apertura del G20 a San Pietrovurgo duole constatare che troppi interessi di parte hanno prevalso da quando è iniziato il conflitto siriano, impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro a cui stiamo assistendo».

Al tempo stesso, indisse e realizzò una giornata di preghiera e digiuno - una pratica che accomuna le tre religioni monoteistiche – lanciando indirettamente un segnale a tutti gli attori del conflitto, invitandoli a concentrarsi sulla volontà di pace e, anche, a comprendere che senza pace tra le religioni non ci sarà pace in Medio Oriente.

Anche a seguito dell'enorme consenso dei popoli all'iniziativa del Papa, Putin riuscì a convincere il presidente statunitense Barack Obama a fermare il bombardamento, dopo aver negoziato un accordo quadro secondo con il quale Damasco a si impegnava a eliminare il suo arsenale chimico, un impegno che secondo l'Onu è stato rispettato. Del resto, Obama rischiava l'isolamento dopo che i Parlamenti di Londra e Parigi si erano espressi per il no all'attacco militare (nel caso britannico, il voto era vincolante per il Governo).

Sulla possibilità di esito positivo conferenza Ginevra 2 permangono dubbi. La proposta sulla quale negozieranno le delegazioni di Assad e dei ribelli sarà la formazione di un Governo transitorio con delega nel settore militare e della sicurezza. Si discuterà anche sulla possibilità di convocare elezioni e di scrivere una nuova Costituzione.

L'accordo resta difficile, ma nelle ultime settimane è apparso evidente come gli stessi gruppi ribelli stiano cercando di emarginare le fazioni jihadiste decise a mettere a repentaglio il processo di pace. La ripresa di quresto processo, stavolta con Stati Uniti e Russia dalla stessa parte per frenare le violenze, potrebbe riuscire a tenere il jihadismo (e gli interessi dei mercanti di armi) e a trovare una soluzione pragmatica a lungo termine per le profonde divisioni interne della Siria. E potrebbe ripartire la ricerca di un modus vivendi delle religioni tra loro, oltre appunto a quella di un mutamento deli contrasti tra Occidente ed Iran, dove il nuovo presidente Hassan Rohani si mostra deciso a un cambio di rotta in politica estera.