Nasce un bambino. Per una volta tralasciamo il resto. Grotte (o stalle), mangiatoie, bestie varie, visitatori di diversa estrazione sociale. Persino quella famiglia che noi cristiani chiamiamo sacra. Nasce un bambino. Ci sarà un motivo se nel sentire più intimo di tutti – nell'inconscio collettivo direbbero alcuni – è l'evento simbolo per eccellenza di speranza e di gioia? E allora come si spiega che i comportamenti individuali e collettivi i bambini li uccidono?
Non ho risposte, se non quella del grano e della zizzania che crescono insieme. Ma ogni anno, ogni Natale, quella gioia e quella speranza le sento offuscate, appesantite. La fiducia nella Provvidenza rimane. Ma rimangono, incise nella memoria e nella carne, le ferite di una vita trascorsa tra le sofferenze del mondo. E le più atroci sono quelle dei bambini.
In questo Natale è anche peggio del solito. Quello che si accinge a terminare è stato un anno d’orrore, di paura e di disperazione per milioni di bambini coinvolti nei diversi conflitti che insanguinano tante aree del mondo. Secondo un rapporto diffuso dall’Unicef, l’agenzia dell’Onu per l’infanzia, sono quindi milioni nelle guerre in corso solo in Iraq, Siria, Ucraina, Repubblica Centroafricana, Sud Sudan. Per non parlare di tutti le altre aree del mondo nelle quali si trascinano conflitti spesso pluridecennali, come il Corno d’Africa o la regione dei Grandi Laghi, o dei Paesi, per esempio la Nigeria, precipitati negli ultimi anni in un abisso di ferocia. Tutte queste tragiche situazioni portano, secondo le stime dell’Unicef, a oltre duecentotrenta milioni di bambini coinvolti nei conflitti armati.
Ed è proprio di questi giorni la notizia atroce dei centotrenta bambini pakistani massacrati da un gruppo telebani in una scuola di Peshawar, uin una strage che ha destato orrore persino tra i gruppi armati che fanno riferimento ad Al Qaeda.
Certo, da simili orrori l'infanzia in Italia è risparmiata (per quanto ci sarebbe molto da dire sulle tragedie che anche qui infettano i luoghi dell'emarginazione, a partire da quella dei bambini in balìa del crimine organizzato) ma la tutela, l'accoglienza e l'assistenza delle nuove generazioni perdono forza e senso, così come l'indirizzo di educazione - l'indirizzo politico, sociale e culturale - è sempre più degradato.
Altrimenti, come spiegare la morbosa insistenza, con ore di programmi televisivi e fiumi d'inchiostro, su ogni delitto consumato contro un bambino? Beninteso se il colpevole o presunto tale è un privato. Perché dell'infanzia massacrata dall'incuria pubblica per i redditi familiari, dalla mattanza dei servizi sociali e della sanità pubblica non si parla con uguale insistenza.
Per non citare televisioni, giornali, pubblicità varie, pseudoculture dominanti che il Natale travestono da fiaba commerciale, da presunta festa a base di ciccioni rossi su slitte trainate da renne volanti, ma che si guardano bene dal ricordare di che festa veramente si tratti. E, per carità di patria, per non valutare quelle scuole che escludeno il presepe in omaggio a una presunta aconfessionalità. Le stesse che si addobbano per ricorrenze d'importazione che celebrano stregoni e e vampiri.