"Una decisione importante, epocale e anche molto bella. Lo trovo un messaggio veramente bello e anche di riscatto per le donne cattoliche che vogliono avere un ruolo all'interno della Chiesa". Così si è espressa, a caldo, lo scorso maggio, Laura Boldrini, cioè la donna con il massimo ruolo istituzionale civile in Italia (presidente della Camera dei deputati) su quanto Papa Francesco aveva dichiarato a proposito del diaconato femminile.
Per stare ai fatti, più che prospettare una decisione di magistero, il Papa si era limitato a convenire sull'opportunità di insediare una commissione della Santa Sede sulla questione. Tra l'altro, lo aveva fatto in risposta a una domanda rivoltagli durante un'udienza all'Uisg, l'Unione internazionale delle superiori generali delle comunità religiose femminili. E quanti hanno modo di avere in anticipo i testi delle varie attività papali sanno benessimo che la domanda in questione non era tra quelle previste.
Affrontare l'argomento partendo dalla dichiarazione di Boldrini non è un vezzo “anticlericale”. Aiuta infatti a trattare il tema, reso scottante dalla diffusa opinione sul maschilismo della Chiesa e dalle crescenti contestazioni per il diritto al presbiterato e all’episcopato da parte di non pochi movimenti femminili. Fermo restando che la questione, più che di genere, appare di ruolo. Infatti nei livelli decisionali lo squilibrio vero è tra gerarchie e fedeli, maschi o femmine che siano. Non a caso, il termine laico è finito per identificare chi appartenenza religiosa non dichiara o non ha. Del resto è il destino delle parole, basti pensare a famiglia o matrimonio.
Non è impossibile che la classica bolla di sapone finisca per essere il risultato della costituenda commissione (al momento non se ne ha ancora traccia e del resto Papa Francesco si è limitato ad affermare "Mi sembra utile avere una commissione che lo chiarisca bene"). Accadde già con Paolo VI, il quale auspicò si analizzasse la questione della sacramentalità del diaconato femminile, al di là dei timori di possibili strumentalizzazioni.
È pacifico che la commissione, qualora Papa Francesco la insedi, dovrà affrontare l'argomento sia sul piano antropologico e culturale sia su quello storico e teologico. Nel primo caso non ci sarebbero ostacoli, anzi. Diaconia significa servizio alla comunità, sia nella liturgia sia nell'organizzazione sociale. Ed è palese come questo, soprattutto oggi, nella Chiesa questo si declini anche, se non soprattutto al femminile.
Quanto alla storia, il fatto che i primi sette diaconi fossero uomini è un non argomento. Da subito, infatti il diaconato fu esercitato anche al femminile e aveva rilevanza persino superiore al presbiterato, almeno sul piano sociologico. Di diaconi donne il nuovo Testamento e i padri della Chiesa parlano normalmente. Nella lettera ai Romani Paolo presenta Febe come diacono della Chiesa di Cencre. E non è un uso generico del titolo (η διακονοσ, con l'articolo femminile per il sostantivo che rimane invariato). E sempre Paolo, nella prima lettera a Timoteo, quando tratta di dargli consigli sul discernimento delle vocazioni al diaconato fa specifico riferimento a quello delle donne. E gli esempi nei padri della Chiesa sono troppi per citarli tutti in un articolo. Così come non va dimenticato che il diaconato femminile esiste nelle Chiese orientali. Di ordinazione di diaconi donne in Occidente si è persa traccia dopo il primo millennio, ma basta ricordare che in uno dei mosaici delle basiliche ravennati la Madonna è raffigurata con la veste liturgica diaconale. In ogni caso nella Chiesa ortodossa la pratica è continuata normalmente fino al XVII secolo e in alcuni monasteri greci ancora oggi le badesse vengono ordinate diaconi. Per non parlare della Chiese riformate che hanno al femminile anche episcopato e sacerdozio.
Sul piano teologico la questione è un po' più complessa, né può essere liquidata con generici riferimenti a maschilismo e gerontocrazia. Tra l'altro implica l'unitarietà del ministero ordinato nella sua triplice articolazione ecclesiastica (episcopato - nella cosiddetta pienezza dell'ordine - presbitariato e diaconato). E se si ammette la compatibilità donna-altare per il diaconato è poi difficile negarla per i ministeri superiori. (Per inciso, anche ministro significa servitore ed è un'altra di quelle parole che nell'uso comune hanno perso il loro significato originario).
Parte della tradizione cattolica, in merito, fa spesso distinzione proprio su questo punto tra i diaconi maschi e quelli femmine nella Chiesa delle origini. Non mancano lungo i secoli studiosi secondo i quali il diaconato femminile non avrebbe avuto mai i caratteri della sacralità, proprio in ragione della mentalità ebraica prima e protocristiana dopo sulla inconiugabilità donna-altare. Persino Tommaso d'Aquino prova a forzare il testo della lettera a Timoteo sostenendo che le donne di cui si parla sono le mogli dei diaconi, facendo un salto logico, per non dire una confusione, con quanto viene detto poi a proposto del fatto che i diaconi vedovi non possono prendere moglie. Oggi, del resto, un dicono permanente celibe al momento dell'ordinazione poi non può sposarsi. Ma un uomo già sposato può essere ordinato diacono.
L'ultima parola spetta alla Santa Sede e certo stavolta potrebbe esserci un discernimento più accurato, se non altro perchè per la prima volta un gesuita siede sulla cattedra di Pietro. E tra le cose da discernere ci sono sicuramente i segni dei tempi, anche se i tempi dei cambiamenti nella Chiesa non sono mai veloci. Oltre vent'anni fa, al Congresso eucaristico di Siena del 1994, quando Giovanni Paolo II ribadì senza tentennamenti che il sacerdozio è maschile, un altro gesuita, il cardinale Carlo Maria Martini commentò che il discorso sul ruolo della donna nella Chiesa poteva continuare a partire dal diaconato. Si è dovuti arrivare all'ottobre scorso perchè l'ipotesi fosse portata all'attenzione del Papa durante il Sinodo dei Vescovi. Lo fece uno degli esperti invitati, il reverendo Jeremias Schroeder, presidente della Congregazione benedettina di St.Ottilien, in Baviera, ma la cosa non ebbe seguito.
Di una particolare forma di diaconato femminile da esercitare in parrocchia - conferito senza un'ordinazione sacramentale, ma tramite una benedizione - aveva parlato due anni fa anche il cardinale tedesco Walter Kasper, un teologo caro a Papa Francesco, durante una giornata di studio della Conferenza episcopale tedesca a Treviri, finalizzata a discutere come coinvolgere di più le donne nella vita ecclesiastica. Ma lo stesso Kasper, dopo la dichiarazione del Papa, ha detto che sulla questione ci sarà una “lotta feroce” perchè negli episcopati, nelle gerarchie in genere e nella curia romana in particolare, ci sono in merito contrasti accentuati e difficilmente conciliabili.
Né sulla questione del diaconato si possono fare a cuor leggero distinzioni di sacralità, specialmente nel pontificato di questo Papa che sul diaconato e sulla questione del rapporto tra donne e liturgia ha compiuto gesti e preso decisioni importanti.
Ciò è chiaro soprattutto nel rito della lavanda dei piedi del Giovedì Santo, giorno in cui si celebra l'istituzione dell'Eucarestia e di conseguenza della Chiesa sacramentale. Papa Francesco ha disposto che tale gesto di servizio sia offerto a donne come ad uomini, cencellando di fatto la più antica e più ostinata obiezione al sacerdozio femminile, cioè che Gesù avesse voluto intorno a Sé nell'ultima Cena solo uomini. Così come è significativo che il Papa compiendo tale rito abbia indossato – ma forse sarebbe da dire che abbia ostentato – la stola diconale e non quella presbiteriale, oltre che il tradizionale grembiule. Con tali premesse è difficile pensare che Francesco voglia insediare una commissione per pronunciarsi sull'ipotesi minimalista di Kasper, cioè su uno preudodiaconato non ordinato da conferire alle donne.
Resta il fatto che lo Spirito soffia dove vuole. Il diaconato femminile nella Chiesa cattolica è stato cancellato dopo una tradizione durata quasi un millennio. Ma non si può ignorare come – soprattutto ma non solo in terre di missione – esista un tale ministero di fatto esercitato da suore parroco o da laiche parroco sulle quale pesa quasi esclusivamente l'organizzazione della vita ecclesiale. E la prassi, talora, rende obsolete le norme senza che nessuno se ne scandalizzi, tolto qualche pedante. Basti l'esempio dei ministri straordinari dell'Eucarestia. Il Codice canonico parla esplicitamente di “viri laici” (maschi non ordinati vescovi, presbiteri o diaconi). Andate un po' a vedere di che sesso sono le persone che portano l'Eucarestia a vecchi e malati nelle nostre parrocchie.
E in ogni caso, nella Chiesa come nella società, chi dice servizio dice perlopiù donna.