Alle elezioni presidenziali e parlamentari in Costa d'Avorio mancano ancora cinque mesi, ma è già in atto un riposizionamento delle forze politiche che ne potrebbe rendere non scontato l'esito. Il fatto veramente nuovo, però, è il ritorno alla politica di un Paese uscito da meno di quattro anni da un conflitto civile segnato da stragi e gravi violazioni dei diritti umani. Per la prima volta dall’inizio di questo secolo, infatti, il pericolo di un rigurgito di violenze non sembra incombere sulle elezioni.
A giudizio concorde degli osservatori resta comunque favorito l'attuale presidente Alassane Dramane Ouattara, ricandidato durante il fine settimana scorso dal suo partito, il Raggruppamento dei repubblicani (Rdr), che ha tenuto un apposito congresso straordinario ad Abidjan, la maggiore città del Paese.
Ouattarà era stato dichiarato vincitore delle elezioni del 2010, ma riuscì a insediarsi al potere solo nell'aprile del 2011, dopo cinque mesi di rigurgito della guerra civile. Il presidente uscente, Laurent Gbagbo, oggi sotto processo davanti alla Corte penale internazionale proprio per i crimini commessi in quel periodo, aveva infatti rifiutato di accettare l'esito delle urne, certificato dagli osservatori internazionali. Dopo la cattura di Gbagbo da parte delle milizie di Ouattara, appoggiate dai caschi blu della missione dell'Onu e dai militari del contingente che la Francia mantiene da decenni nell'ex colonia, era stato avviato un processo di normalizzazione, con un tentativo di riconciliazione nazionale.
Lo stesso Ouattara aveva dichiarato di considerare proprio questo il suo compito principale e oggi rivendica risultati in questo senso. Tuttavia, in quasi quattro anni non sono mancate critiche al presidente anche da parte delle forze che lo sostengono e ora, in vista delle elezioni, si assiste appunto a un riposizionamento sia nell’ambito dell’opposizione sia in quello della maggioranza.
In questi quasi quattro anni, comunque, non sono mancate critiche al presidente interne alla coalizione che lo sostiene e ora, in vista delle elezioni, alle dichiarazioni fanno seguito iniziative politiche. Quella più rilevante riguarda il Partito democratico della Costa d’Avorio (Pdci), fondato da Félix Houphouët-Boigny, che governò il Paese dall’indipendenza dalla Francia nel 1960 fino alla morte nel 1993 (nel primo trentennio il Pdci fu partito unico, dato che il multipartitismo in Costa d'Avorio fu introdotto solo nel 1990, e conservò la maggioranza assoluta per i successivi nove anni).
Questa volta la direzione del Pdci ha stabilito a maggioranza di non presentare candidati al primo turno delle presidenziali, facendo convergere i suoi voti su Ouattara. La decisione ha spaccato il partito e ha spinto alcuni dirigenti — compreso l’ex primo ministro Charles Konan Banny — a dar vita nei giorni scorsi a una coalizione con dissidenti del Fronte popolare ivoriano (Fpi, principale partito d’opposizione, a suo tempo guidato da Gbagbo) e di altre forze politiche, con il dichiarato obiettivo di «impedire una vittoria troppo facile» del presidente in carica. La nuova aggregazione sembra avere come principale promotore Mamadou Coulibaly, che è stato a capo del Parlamento sotto la presidenza di Gbagbo. Coulibaly ha però precisato di non voler raccogliere solo i vecchi sostenitori di Gbagbo, ma tutti «i delusi, secondo i quali Ouattara non merita un secondo mandato».
In ogni caso, si tratta di un fatto nuovo della politica ivoriana che ha già provocato lacerazioni nei principali partiti. Oltre appunto che dal Pdci, sembrano destinati a convergere nella nuova formazione anche molti altri esponenti dall’Fpi, oppositori interni dell’attuale leader Pascal Affi N’Guessan. E non mancano osservatori convinti che nei prossimi mesi potrebbero registrarsi crepe anche all'interno dell'Rdr di Ouattara, nonostante l'unanimità plebiscitaria registrata al congresso straordinario.