Finalmente. Si: finalmente Assisi, la città del povero per eccellenza, ha deciso che il “suo” (?!) Francesco non deve avere epigoni o concorrenti. L’unica povertà d’ora in poi ammessa nella città serafica è quella celebrata e in parte edulcorata in milioni di poesie e di omelie, illustrata da opere d’arte insigni, chiamata sorella, ma sorella che vive altrove. Di questa sorella basta ricordarsi nelle feste comandate per un elemosina fatta per interposta persona, magari disinfettata con il passaggio per una bussola o per una cassetta delle offerte in un santuario. Ma da Assisi saranno banditi i poveri sporchi, quelli che quasi sempre puzzano, che spesso sono ubriachi e altrettanto spesso aggressivi, che sono petulanti sempre. Ad Assisi non ci sarà più posto per le nuove povertà create dall’urbanizzazione, ne tanto meno per i poveri “professionisti”, (si pensi ai senza fissa dimora, agli zingari quasi sempre borseggiatori). Quelli no. E no a barboni, turisti mordi e fuggi scamiciati, giovinastri scostumati.
Finalmente. Era ora che questo buco di città riconoscesse di contare qualcosa solo perché ci sono i lindi, meravigliosi monumenti francescani, gloria dell’arte e della religione. Era ora che i devoti pellegrini potessero raccogliersi in ammirazione e devozione per l’esclusiva, sublimata povertà di Francesco (scusate, anche di Chiara, che grazie a Dio non era femminista e sapeva stare al suo posto: comunque secondo). Era ora che a turbare tanta commendevole devozione non ci fossero più bivacchi sulle scalinate, lattine di bibite, nudità sconce e cattivi odori, soprattutto in estate quando i pellegrinaggi si intensificano. Era ora che i poveri di oggi, non santi, non poeti, non celebrati in film e sceneggiati con protagonisti piacenti si levassero dal proscenio del colle del Paradiso. O davvero volevamo che tornasse a chiamarsi colle dell’inferno, come era prima che vi seppellissero il detto Francesco e vi edificassero sopra la duplice basilica?
Era tempo di prendere adeguati provvedimenti affinché una volta curata per bene l’anima ci si potesse dedicare alla scelta oculata di un’immagine o di un “ricordino” in uno dei tanti ben forniti esercizi commerciali cittadini, senza essere distratti dai molti venditori ambulanti, magari stranieri, che non solo non pagano le tasse, ma si permettono persino di mettere in mostra oggetti, mercanzie che con il carattere serafico - no, meglio: sacro – di Assisi nulla hanno a che spartire.
Ci ha pensato un sindaco illuminato, Claudio Ricci, eletto nel 2006, a mettere riparo a sette o ottocento anni di lassismo e di infingardaggine con una strabenedetta ordinanza che fa "divieto di mendicare nei luoghi pubblici situati a meno di 500 metri da chiese, luoghi di culto, monumenti, piazze ed edifici pubblici". Cioè in tutta la città. Ci ha pensato il primo cittadino – il primo di coloro che prima e meglio di ogni altro hanno diritto di interpretare l’autentico spirito del loro compaesano San Francesco – ad occuparsi del decoro di Assisi. Dopo secoli in cui la vigilanza era stata affidata solo ai “nostri santi che in cielo vegliate, vergini sante felici e beate” (sono le parole dell’inno), limitata alla preghiera “noi vi invochiam, questa città col vostro amore guardate”, finalmente ci hanno pensato un po’ anche le sue istituzioni, nel doveroso ossequio della legalità. Magari – ma nessuno è perfetto – pure Ricci ci ha messo due anni a prendere questa sacrosanta decisione. Ma farglielo notare significa essere almeno superficiali. "Preciso subito: sono anni che lavoriamo per la legalità – ha dichiarato egli medesimo illustrando tale decisione alla stampa -.Questa iniziativa non è che una naturale evoluzione, sollecitata da molte segnalazioni di cittadini, ospiti, comunità religiose".
Queste ultime, soprattutto, sanno bene che per chinarsi davvero sulle autentiche povertà basta farle passare dalla porta di servizio (un piatto di minestra non si nega a nessuno. O magari un pezzo di pane. Ma andiamo fuori contesto. In quello – il pane per i poveri - sono specializzati a Padova gli epigoni di quell’altro santo sulla cui tomba si è costruita una basilica imponente, quell’Antonio appunto da Padova, dato che a ricordare che era da Lisbona si corre il rischio di farlo confondere con un immigrato qualunque, anche se per fortuna non extracomunitario e tanto meno nero).
Basta così. Il lettore scuserà lo sfogo che si traduce in sarcasmo. Ma il sarcasmo non può e non deve essere l’unica chiave di lettura di quanto accaduto ad Assisi in aprile. Né, del resto, l’amministrazione della città umbra è stata l’unica a prendere provvedimenti analoghi. .C’è un’aria di intolleranza sulla quale occorrerebbe ragionare a fondo, senza fermarsi – come accade sulla gran parte della stampa italiana – a valutare se il cavalcarla sia di destra o di sinistra. Ad Assisi l’amministrazione è di destra, ma ad esempio è di sinistra quella di Firenze, dove ha fatto scalpore un provvedimento analogo, tra l’altro preso subito dopo quello che vietava l’attività dei lavavetri ai semafori. In Veneto c’erano state già in passato le ordinanze contro i saccoapelisti a Venezia e persino contro il consumo di cibarie in strada a Verona.
Ma certo, una simile ordinanza presa ad Assisi al dichiarato scopo di "salvaguardare i luoghi di culto e la decenza" fa una certa impressione. Nella città segnata per sempre – stavolta è il caso di ricordarlo senza sarcasmi – da chi si spogliò in pubblico e scelse la mendicità come unica forma di sostentamento, è vietato "sdraiarsi, o sedersi a terra, in prossimità dei luoghi di culto, edifici pubblici, sotto i portici, sulle soglie e sui lati degli ingressi nonché lungo i muri perimetrali di detti edifici". In sintesi, ad esempio, un povero non potrà chiedere l’elemosina davanti ad una chiesa. Il che è come dire che la Chiesa deve respingere – almeno all’apparenza, o meglio all’evidenza esteriore – i poveri. Come dire che il mare deve rifiutare i pesci o il cielo gli uccelli. Come dire che Dio deve rifiutare gli uomini.
Il sindaco Ricci ha voluto specificare che "l'applicazione seguirà il buon senso. Abbiamo formalizzato una prassi già diffusa: chi è risultato con precedenti penali, foglio di via dal comune". Ed anche alcuni responsabili delle comunità francescane di Assisi hanno in parte giustificato il provvedimento con la considerazione della necessità di contrastare il fenomeno crescente del business della mendicità o, meglio, il suo sfruttamento. Lo stesso Vescovo di Assisi Domenico Sorrentino (che dopo la riforma voluta da Benedetto XVI è anche responsabile della basilica di San Francesco, dove non c’è più il Cardinale legato) ha sottolineato in una nota pubblica che l'ordinanza emanata "in modo del tutto autonomo dall'amministrazione comunale", riguarda un fenomeno "non di rado, di sfruttamento della mendicità che talvolta assume forme moleste e persino violente comportando obiettivi problemi per l'ordine pubblico” e in questo senso – e solo in questo senso – ha ammesso che “appare quindi come un atto doveroso della pubblica amministrazione”.
Tuttavia, la stessa nota di monsignor Sorrentino definisce "necessario, specie in una città che si gloria dello spirito di Assisi, che si incrementino e all'occorrenza si creino adeguati servizi di accoglienza che aiutino ad uscire dalla prassi della mendicità coloro che sono realmente nel bisogno. Allontanarli dalla città di Francesco, senza nulla fare per risolvere il loro problema, sarebbe davvero incomprensibile e inaccettabile". Più in generale, il Vescovo di Assisi ricorda “che in questa materia non basta sanzionare e reprimere. Accanto al fenomeno preso di mira, esistono tante situazioni di effettiva indigenza". A tal fine la Chiesa locale "assicura ogni possibile collaborazione per lo sviluppo dei pubblici servizi di accoglienza, di solidarietà e giustizia sociale", e rende noto che "soprattutto attraverso la Caritas diocesana, le parrocchie, le comunità religiose, le varie strutture caritative e di accoglienza, già da tempo e in diversi modi risponde alle domande di tanti poveri che bussano alla sua porta".
Tali puntualizzazioni, da entrambe le parti, l’amministrazione civile e i responsabili religiosi, sembrerebbero definire i giusti contorni della questione e – magari – tacitare i sarcasmi e le perplessità che essa suscita in molti, tra i quali chi scrive queste note. Ma un senso di malessere resta. Lo stesso Ricci ammette che Assisi è una città sicura, ma poi aggiunge che “se ci sono segnali di potenziale pericolo non vogliamo fare finta di niente". Dice proprio così: segnali (non fatti rilevanti e accertati) di potenziale (non reale, attuale) pericolo. Ciò nonostante, Ricci non considera la sua ordinanza figlia di una sorta di ossessione politica sulla sicurezza, come quella che in molti casi si è rivelata vincente nell’ultima campagna elettorale, ma parla invece di un atto sollecitato da più parti: anche "molte comunità religiose locali – ha dichiarato - ci hanno pregato di provvedere. L'obiettivo è preservare la sacralità di questi luoghi, senza rinunciare all'accoglienza".
Che poi la sacralità di Assisi sia tale proprio a causa di quel Francesco povero e mendicante sembra un fattore secondario.
E in ogni caso, come sempre, le dichiarazioni sono una cosa e i fatti sono un’altra. Le ordinanze del sindaco di Assisi sono in realtà tre: una vieta appunto per i mendicanti di accovacciarsi a meno di 500 metri da chiese, luoghi di culto, piazze ed edifici pubblici., un’altra stabilisce l'orario di chiusura di bar e locali in genere (una di notte d’inverno, una e mezzo d'estate) e un’altra, infine, ordina l'allontanamento coatto dalla città di tutti i campi nomadi.
E qui, si riaffaccia quell’aria di intolleranza citata. Basti un esempio. Durante il lungo ponte festivo del 25 aprile e del primo maggio, Assisi è stata come sempre invasa da pellegrini e anche semplici turisti, quelli più attenti ai capolavori giotteschi che allo “spirito di Assisi” citato dal suo Vescovo. Ebbene: durante i giorni festivi in questione, le scale della principali chiese del centro cittadino, la basilica di San Francesco, quella di Santa Chiara, la chiesa della Minerva situata proprio nella piazza del Comune, sede del suddetto sindaco, erano strapiene di gente seduta e anche sdraiata che mangiava e beveva senza che alcun vigile urbano si sognasse neppure lontanamente di applicare le ordinanze tanto pubblicizzate. E allora, a qualcuno potrebbe venire il pensiero malizioso di dare come motivazione che i turisti portano soldi, mentre i poveri li chiedono.
I fatti sono che a sgomberare i campi nomadi si sta provvedendo, ovviamente senza quelle modalità e senza quello “sviluppo dei pubblici servizi di accoglienza, di solidarietà e giustizia sociale" chiesto dal Vescovo. Comunque, niente di nuovo: in questo Assisi non si distingue da altre città, ad esempio da Milano, dove pure l’Arcivescovo Dionigi Tettamanzi non tanto tempo fa ha dovuto duramente stigmatizzare le modalità con le quali sono stati scacciati un gruppo di Rom per disposizione del sindaco Letizia Moratti. E pugno duro contro i campi nomadi è stata anche una delle promesse fatte da Gianni Alemanno, il neoeletto sindaco di Roma. (Per la cronaca Roma è un’altra città dove San Francesco ha vissuto mendicando. Ma anche li, oggi, almeno in alcuni punti non potrebbe farlo, ad esempio sulla scalinata di Santa Maria Maggiore, la madre di tutte le chiese mariane, cinta ora da una cancellata di lance acuminate, sempre in funzione antibarboni).
E sempre ad Assisi, fin dal 2004 è attiva un’iniziativa che non sarà proprio quella delle ronde padane di cui pure si è tanto parlato in campagna elettorale, ma che una qualche somiglianza ce l’ha. Girano cioè (su automobili del comune) un gruppo di volontari armati di telefonini per segnalare alla forza pubblica cose che a loro giudizio non vanno. Si spera che tra queste non si arrivi ad annoverare un tizio che dorme sul pavimento di una chiesa diroccata. Un tempo capitava, in quel di Assisi: chi scrive da ragazzo ha sentito una certa storia relativa alla chiesa di San Damiano. O magari lo stesso tizio con qualche amico ricoverati in una baracca fatiscente o in un tugurio. Come sopra: chi scrive ha sentito un’altra storia relativa a Rivotorto, sempre nel comune di Assisi. E tante scuse ai suoi attuali abitanti, laici e religiosi, oltre che ai lettori, se un po’ di sarcasmo torna a farsi largo. Senza scherzi: è un modo per tenere a bada il dolore e lo sdegno. Perché se nella città di Francesco si può, sia pure con tutti i distinguo possibili, emettere ordinanze contro i poveri, siamo davvero messi male.