La filosofia del mare
(visto da terra)
di Pierluigi Natalia
Ci sono profondità e leggerezza, nel saggio Piccola filosofia del mare di Cécile Guérard, pubblicato nel 2006 dalle Éditions des Équateurs, e proposto ora ai lettori nella traduzione di Leila Brioschi (Milano, Guanda, 2010, pagine 123, euro 12,50). Profondità perché da Talete a Nietzsche il pensiero dell'uomo al cospetto del mare è riportato con riferimenti puntuali e con collegamenti all'esperienza quotidiana mai banali. Leggerezza (non a caso il titolo originale parla di Philosophie légère de la mer, appunto légère, non petit) perché i pur numerosissimi riferimenti e le pur diversificate riflessioni dell'autrice si posano sul lettore senza schiacciare. Le citazioni e le deduzioni che l'autrice ne ricava avvolgono e sostengono, come appunto può fare l'acqua di un bagno marino, il modo di esprimere — e magari di incontrare — se stessi. Proprio questo modo e questa misura riempiono più di tutto il volumetto, al punto che sorprende l'assenza, tra le tante citazioni, del «conosci te stesso», il monito inciso sul tempio di Delo, l'isola che origina il pensiero greco e la storia dell'Occidente.
«Arrotolare il mondo intorno alle dita come una donna che gioca con un nastro mentre sogna affacciata alla finestra»: Guérard pone questa frase di Fernando Pessoa, il poeta delle odi marine, nel prologo alle sue riflessioni. Ma quella donna l'immagina appoggiata a una balaustra dipinta da Pierre Bonnard, sulle cui colonne si arrotola il mare (e la pittura del mare ritornerà a scandire ogni pagina del libro). «Soltanto il mare come orizzonte permette che la frase s'involi — scrive Guérard —. Le vie dell'immaginazione e del pensiero possono allora srotolarsi senza intralci, a perdita d'occhio. È così: il mare s'impone come un'evidenza».
Da questa evidenza muove l'autrice per la sua associazione, che pure riconosce insolita, tra mare e filosofia. Del resto, «il mare e la filosofia condividono lo stesso movimento», scrive Guérard, ricordando che la filosofia è nata anche sotto il segno dell'acqua, sulle rive dell'Egeo e dello Ionio. Per Talete l'elemento liquido è il principio del mondo. Per Eraclito l'acqua del mare è segno di contraddizione, salutare per i pesci, mortale e imbevibile per gli uomini. Per Platone, che vive nel declino dell'impero marittimo di Atene, il mare è simbolo di hybris, di eccesso da condannare a beneficio dell'armonia e della stabilità.
Così come il mare è presente nel pensiero dell'età moderna, spesso come allegoria dell'illusione metafisica «dove il senso si perde e la coscienza s'inabissa», scrive Guérard. Da Kant, per il quale il paese della verità è un'isola in un tumultuoso oceano; a Nietzsche, che insiste sul silenzio del mare e chiama ipocrita la sua muta bellezza; fino a quelli del xx secolo, come Foucault, che nel mare legge insignificanza e perdita di senso, i pensatori si fanno interpellare dal mare che Omero chiama inseminato e che pure è fecondo.
Guérard compone un mosaico al quale convoca a fornire tessere molti autori, dai filosofi ai pittori agli scrittori come Hugo, Sartre, Michelet, Micchaux, Bachelard, Hemingway. Ma soprattutto fa della meditazione sul mare riflessione sulla vita. All'evidenza del mare, l'autrice riconosce una saggezza intrinseca che stimola il pensiero. Così come la filosofia, a immagine del mare, «elude e polverizza il solido, il radicato, il pregiudizio, l'imperturbabile, il conformismo e la comodità». Nella visione di Guérard un bagno o una passeggiata sulla spiaggia si fanno rigenerazione e salvezza, liberano dai pregiudizi e persino dal narcisismo, guariscono e sollevano dall'angoscia, compongono una sinfonia meditativa che spinge insieme al sogno e alla riflessione, cioè all'esercizio del pensiero.
Un bagno in mare. Una passeggiata sulla spiaggia. Se un limite può trovarsi a un libro che avvince subito e non si riesce a lasciare prima di averlo terminato, forse è proprio in questo: nel guardare il mare dalla terra, nell'assenza del punto di vista elettivo di guardare la terra dal mare. L'autrice scrive da terra. Le manca forse un senso proprio del viaggio — anche quello del pensiero — che per mare si definisce con la rotta. Perché se per terra si può viaggiare senza meta, se il nomadismo può essere persino misura e strumento di libertà, per mare questo non è consentito: senza rotta, senza la tensione verso il porto, c'è solo deriva e, spesso, naufragio.
(©L'Osservatore Romano - 22 luglio 2010)