Denutrizione e lavoro minorile sono due tra le drammatiche condizioni dell'infanzia della quali sono giunte nuove conferme nelle ultime settimane da tante parti del mondo. Sotto entrambi gli aspetti le situazioni più gravi si registrano in Africa, persino in Paesi che non vivono le tragedie spaventose di altri del continente. Sullo sfruttamento del lavoro minorile, spesso in condizioni terribili, è stato diffuso a fine agosto, per fare solo un esempio, un rapporto dell’organizzazione internazionale Human Rights Watch (Hrw) sulla Tanzania. Hrw denuncia che migliaia di bambini, anche di appena otto anni di età, lavorano nelle miniere d’oro della Tanzania, sia autorizzate sia illegali, in assenza di misure di sicurezza e con grave rischio per la salute. Il rapporto, frutto delle visite degli attivisti di Hrw in diverse miniere, sottolinea che l’impiego dei minori nel settore estrattivo «costituisce una delle forme peggiori di sfruttamento ai sensi di leggi internazionali sul lavoro sottoscritte anche dalla Tanzania». In particolare, Hrw denuncia il pericolo di avvelenamento per l’utilizzo nelle miniere di quantità consistenti di mercurio.
Anche l'America latina, dove pure da tempo molti Paesi sono impegnati in sostanziali riforme sociali, è segnata ancora da situazioni di estremo disagio. Sempre a fine agosto, è stato pubblicato dalla Universidad Católica Argentina il terzo “Barometro del debito sociale dell’infanzia”. Dallo studio emergono violazioni dei diritti fondamentali per il 59,1 per cento dei bambini che vivono nelle aree urbane dell'Argentina. Nel trienno 2010-2012 il 24,2 per cento dei minori non hanno avuto accesso ad almeno uno dei servizi di base: alimentazione, assistenza sanitaria, abitazione, istruzione, mentre “carenze moderate” in almeno uno di tali servizi sono state subite dal 34,9 per cento. Di insicurezza alimentare sono vittime un decimo dei bambini argentini fino a cinque anni, mentre le carenze sanitarie si accumulano principalmente tra l’età scolare e l’adolescenza.
Tra i maggiori successi dell'ultimo decennio in America latina c'è invece proprio la lotta al lavoro minorile, con risultati lusinghieri soprattutto in Brasile, dove è stato inoltre ridotto in modo più che rilevante il fenomeno dei bambini di strada. Ciò nonostante, nel subcontinente ci sono ancora 14 milioni di bambini lavoratori. Il fenomeno è particolarmente preoccupante in Messico, dove vivono oltre tre milioni di bambini e e adolescenti costretti a lavorare, spesso per le organizzazioni criminali. Di recente, il vescovo di Tehuantepec, monsignor Oscar Armando Campos Contreras, è tornato sulla questione, affermando che «l’ingiustizia, l’impunità che si riflette nella criminalità, la povertà economica, che poi si trasforma in miseria, non danno alcuna speranza di sviluppo ai giovani, e li rendono facile preda della criminalità organizzata».
Tragica, per motivi diversi, ma forse più inquietanti, è anche la condizione dell'infanzia in Guatemala, dove non meno di 62 bambini sotto i cinque anni di età sono morti per fame dall’inizio del 2013 e a oltre 9.700 è stato diagnosticato un quadro di denutrizione cronica, un fenomeno o strettamente legato alla miseria in cui versano il 52 per cento dei circa quindici milioni di guatemaltechi. In stragrande maggioranza si tratta della popolazione indigena, nelle cui comunità manca tutto, dall’acqua potabile ai servizi igienici. Il Governo del presidente Otto Pérez si attende una svolta grazie ai programmi di lotta alla povertà, come quello chiamato «Ventana de los cien días» (finestra dei cento giorni), che punta a garantire alimentazione e assistenza sanitaria per le madri fin dai primi mesi di gestazione. A rallentare lo sviluppo del Paese più popoloso dell’America centrale sono però i suoi problemi strutturali, primo fra tutti il divario fra i pochi scandalosamente ricchi e i milioni di poveri. Un recente rapporto dell’Istituto centroamericano di studi fiscali rivela che il Guatemala è il Paese più disuguale della regione e fra i più iniqui dell’intera America latina, con metà della ricchezza nelle mani del 10 per cento della popolazione.
Né da simili pericoli è difesa l'infanzia in tante parti dell'Asia o del Medio Oriente e persino del nord ricco del mondo. L'ultima denuncia è giunta dalla Spagna, dove il difensore civico della Catalogna, Rafael Ribo, in un’audizione al Parlamento regionale, ha illustrato i risultati di una recente ricerca, denunciando che più di 50.000 ragazzi catalani al di sotto dei 16 anni sono malnutriti. Ribo ha comunque specificato che «il problema non è la fame in senso stretto», ma la crisi che impedisce a molte famiglie di «nutrire i propri figli con una dieta adeguata, comprando loro prodotti più nutrienti». Poco a che vedere, dunque, pur nel giustificato allarme, con le tragedie del sud devastato del mondo.