Una visione diversa sulla direzione verso la quale condurre il Brasile, ma anche un confronto spesso trasceso in attacchi personali, hanno segnato queste tre settimane di campagna elettorale per il ballottaggio presidenziale di domenica. A sfidarsi sono Dilma Rousseff, capo di Stato uscente e candidata di quel Partito dei lavoratori che guida il Paese da dodici anni, e Aécio Neves del Partito socialdemocratico, di centro destra, che un po' a sorpresa si è piazzato secondo lo scorso 5 ottobre, al primo turno delle elezioni. Una sorpresa comunque relativa, dato che la sfida di domani ripropone ancora una volta la scelta tra sinistra e destra. Il confronto, in estrema sintesi, è di nuovo tra quanti fanno riferimento al liberismo rappresentato da Neves, il cui seguito è forte soprattutto nei centri economici e finanziari delle aree urbane e nel sud agricolo, e quanti, soprattutto tra le popolazioni del nord-est povero e delle favelas che rappresentano lo “zoccolo duro” del Partito dei lavoratori, scommettono ancora e soprattutto sulla difesa dello Stato sociale.
Alla vigilia del primo turno, però, i sondaggi prevedevano che a sfidare Rousseff sarebbe stata Marina Silva, l'ambientalista candidata dal Partito socialista (centrista nonostante il nome) dopo la morte in un incidente aereo del suo leader, Eduardo Campo. Silva si è invece fermata a poco oltre il 21 per cento, mentre Neves ha avuto oltre il 33 per cento, quasi nove punti percentuali in meno di Roussef, ma certamente molto di più di quanto i sondaggisti gli accreditassero.
La situazione potrebbe ripetersi anche in questo ballottaggio. Secondo gli ultimi sondaggi, Rousseff dovrebbe superare il 54 per cento, e Neves non raggiungere il 46. Ma a cambiare il quadro potrebbero essere le motivazioni e quindi l'affluenza alle urne degli sostenitori dei due schieramenti. Il primo turno ha sostanzialmente smentito le previsioni di una scarsa partecipazione dei circa 143 milioni di elettori brasiliani. Ma non possono essere preventivamente escluse sorprese al ballottaggio.
Secondo alcuni osservatori, tanto maggiore sarà l'affluenza tante più possibilità avrà Neves di rimontare un distacco che alla vigilia del voto sembra annunciare un esito scontato. La considerazione si basa soprattutto su una sorta di somma tra i voti di Neves e quelli di Silva al primo turno. Ma la scelta di Silva di appoggiare Neves al ballottaggio potrebbe avere poco significato. In politica, infatti, non sempre le indicazioni dei leader trovano disciplinati gli elettorali. Tanto più questo è valido nel caso di quelli del partito socialista, che quest'anno ha deciso di concorrere in proprio, ma che era stato alleato del Partito dei lavoratori sia con Rousseff quattro anni fa, sia nelle due precedenti consultazioni vinte dal suo predecessore Luiz Inácio Lula da Silva. La stessa Silva, tra l'altro, era stata ministro con Lula, prima di lasciare il partito dei lavoratori nel 2008 e sono in molti a chiedersi come la sua storia personale e le sue proposte politiche possano conciliarsi con posizioni liberiste e con l'appoggio a un candidato che appare espressione più del mondo della finanza che di quello del lavoro.
Proprio sulle differenze di linea politica si è concentrato l'ultimo confronto televisivo tra Rousseff e Neves, a due giorni dal voto, che ha avuto almeno il merito di evitare i toni dei giorni scorsi, accesi al punto da aver spinto il tribunale elettorale a sanzionare entrambi i candidati per aver utilizzato il tempo gratuito a loro disposizione in tv e alla radio non per «presentare proposte e dibattere programmi», come previsto dalla legge, ma per rivolgersi attacchi personali. Il giudice Admar Gonzaga ha ridotto di 2 minuti e 30 secondi la trasmissione di spot tv di Neves e di 36 secondi il tempo a disposizione di Rousseff alla radio nazionale.
Accuse vicendevoli a parte, con il voto di domani i brasiliani sanno di dover scegliere tra due diversi modelli, anche se entrambi gli schieramenti concordano su alcune necessità, in particolare quella di mettere in campo una vera politica di investimenti nelle infrastrutture necessarie ad ancorare il Brasile alla modernità.
Nessuno può negare che i dodici anni di governo prima di Lula e poi di Rousseff siano stati di grandi successi sociali, con i programmi per l’eliminazione della fame, la scolarizzazione e l’accesso alla casa, che hanno sottratto oltre quaranta milioni di persone dalla povertà, un risultato con pochi paragoni al mondo. Soprattutto con Lula, tra l'altro, la crescita economica del Brasile, uno dei grandi Paesi emergenti, ha consentito a molte di queste persone di entrare nel ciclo produttivo e di non dover più dipendere dall'assistenza pubblica. I programmi di Lula, tutt'oggi il politico più popolare del Brasile, hanno avuto in questo senso risultati immensi, ben più vasti di quelli registrati con le prime aperture in questa direzione che pure erano venute dal suo predecessore, Fernando Henrique Cardoso, l'ultimo presidente di centrodestra, che comunque era tutt'altro che un liberista esasperato.
Ora però, complice anche la crisi finanziaria ed economica globale che ha accompagnato la presidenza di Rousseff, i conti incominciano a farsi difficili, per usare un eufemismo. Il progressivo aumento del debito pubblico per finanziare la gigantesca spesa sociale è stato a suo tempo il prezzo obbligato da pagare in un Paese che si era affacciato nel terzo millennio con decine e decine di milioni di abitanti privi della possibilità di far fronte alle più elementari necessità della vita. Ma il rallentamento della crescita economica e la caduta dei prezzi delle materie prime (non solo petrolio, ma anche ferro e soia) la cui esportazione è una voce essenziale dell'economia brasiliana, ha trasformato questo debito in un macigno che minaccia di compromettere i bilanci dello Stato e la stessa possibilità di non regredire dalle politiche di inclusione e tutela sociale. Del resto, in gran parte del mondo negli ultimi anni il cosiddetto ascensore sociale ha viaggiato solo verso il basso, con una finanza predatoria che ha reso i ricchi più ricchi e ha ampliato il numero di quanti dalla condizione di relativo benessere sono caduti o ricaduti in povertà.
Anche i commentatori più favorevoli alle politiche di Lula prima e poi di Rousseff sanno che il Partito dei lavoratori deve fronteggiare oggi non solo i fautori di un liberismo estremo e un generico sentimento di cosiddetta antipolitica, ma anche una delusione diffusa in quegli stessi strati della popolazione che più hanno beneficiato delle scelte governative. I lavoratori brasiliani, soprattutto quelli di recente emancipazione dalla povertà assoluta, sono oggi alle prese con i problemi di tutte le società nelle quali lo Stato sociale traballa, dai costi crescenti di una sanità e di servizi pubblici comunque insufficienti, all'inflazione che erode il potere d'acquisto delle retribuzioni più basse. Sarà la credibilità di Rousseff negli impegni presi per dare loro risposta, non l'appartenenza ideologica, che pure conta, a decidere l'esito di domani.