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Epidemia e prospettive internazionali 2020 (seconda parte)

Epidemia e prospettive internazionali 2020 (seconda parte) - Pierluigi Natalia

 

 

Una globalizzazione

diversa

 

24 giugno

 Il mio ultimo editoriale di Sosta e Ripresa si congedava dal lettore con l'impegno a continuare a riflettere sulle prospettive che la crisi provocata dalla pandemia del Covid-19 apre di fronte non solo alle singole persone, ma nei più generali rapporti sociali, dal livello di singole comunità locali a quello geopolitico globale. Riflessioni che sembrano quanto mai necessarie, perché è chiaro che un ritorno puro e semplice allo status quo ante avrebbe effetti devastanti.

Si, bisogna pensare. E trarre alcune lezioni. La prima, ovviamente, è prendere sul serio la minaccia che viene dal saccheggio della natura e giudicare su questa base i comportamenti individuali e collettivi, compresa l'offerta politica. Anche perché la natura presenta il conto. Quello salatissimo che già paghiamo dovrebbe ammonirci che il pianeta potrebbe tranquillamente fare a meno dell'uomo, se arriva a diventare un parassita non più sostenibile. Basti vedere che in questi mesi di forzatamente ridotta attività i parametri ambientali sono tutti migliorati. Tornare ai comportamenti di prima, considerare questa fase solo un'incidente di percorso, sarebbe suicida.

La seconda è che non si può affrontare il degrado ambientale senza combattere le cause di quello umano e sociale. Come scrive Papa Francesco nella Evangeli Gaudium, l'esortazione apostolica del 2013 considerata il manifesto programmatico del suo pontificato, «non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri». Serve un'economia diversa da quella che minaccia il pianeta e l'umanità. Servono modelli con la priorità dei diritti e delle tutele del lavoro sugli interessi di produzione, serve cambiare la prassi dei finti bisogni indotti per moltiplicare in modo dissennato i consumi.

La dottrina sociale della Chiesa, il magistero in materia di cura dell'ambiente, la stessa scelta ecclesiale del primato del povero, ci aiutano a comprendere gli errori, nel presente e per il futuro, a pensare insieme, perché nessuno si salva da solo, a dare spazio e strumenti alla speranza. Sul piano internazionale, sulla linea sempre seguita dalla Santa sede, aiuta rileggere il messaggio di Pasqua di Papa Francesco, pronunciato in un momento che l'epidemia rendeva drammatico. "Non è il tempo dell'indifferenza perché tutto il mondo sta soffrendo e deve ritrovarsi unito nell'affrontare la pandemia... non è il tempo degli egoismi, perché la sfida che stiamo affrontando ci accomuna tutti e non fa differenza di persone". Soprattutto "non è il tempo della dimenticanza.", ha ammonito il Papa, in riferimento alle tante crisi umanitarie che sono sembrate passare in secondo piano cancellate o quasi dall'informazione, quasi che l’epidemia le avesse risolte, invece di aggravarle come ha fatto. Sarebbe forsennato tornare sic et simpliciter alla situazione precedente al Covid-19, dimenticare i deboli delle periferie di ogni parte del mondo, non provvedere a chi rischia di perdere il lavoro, non smetterla con le guerre e con il commercio delle armi, "spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite".

Particolarmente intenso è stato l’appello all’Europa, che da troppo tempo sembra svuotarsi di significato, perdere i suoi già tanto compromessi principi di unità e di solidarietà, con la riduzione dello Stato sociale e il cedimento a un liberismo che moltiplica gli egoismi e monetizza i bisogni, con i rafforzamenti dei nazionalismi, persino con attacchi alla democrazia da parte di governi che intendono agire senza contrappesi e controlli, come è accaduto durante l'epidemia, senza reazioni significative delle istituzioni comunitarie. Il Papa ha ricordato che l'Europa è risorta dopo la seconda guerra mondiale "grazie a un concreto spirito di solidarietà che ha consentito di superare le rivalità del passato. È quanto mai urgente, soprattutto nelle circostanze odierne, che tali rivalità non riprendano vigore, ma che tutti si riconoscano parte di un’unica famiglia e si sostengano a vicenda. Oggi l’Unione Europea ha di fronte a sé una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro, ma quello del mondo intero. Non si perda l’occasione di dare ulteriore prova di solidarietà, anche ricorrendo a soluzioni innovative. L’alternativa è solo l’egoismo degli interessi particolari e la tentazione di un ritorno al passato, con il rischio di mettere a dura prova la convivenza pacifica e lo sviluppo delle prossime generazioni”.

L'epidemia ci ha dimostrato impellente ripensare i nostri stili di vita: se è vero che questo virus ce li ha cambiati a forza, è vero anche che un ritorno a quelli vecchi significherebbe vanificare la fatica affrontata e riconsegnarci al pericolo e alla sofferenza. La distanza relazionale alla quale siamo stati costretti, non può e non deve cristallizzarsi in freddo distacco, in una chiusura egoistica che ci vedrebbe privati ancora di più di diritti fondamentali, ci vedrebbe più poveri in umanità. Questa epidemia ha ridotto le nostre case - per quelli che una casa hanno - a una sorta di nuove catacombe per comunità ristrettissime, a volte nel calore familiare, talora abitate da solitudini che telefoni e computer non posso riempire del tutto. Ma le catacombe, oggi come agli albori del cristianesimo, sono dei rifugi necessari nel pericolo, non la condizione di una vita piena. Il credente sa che viene il tempo di uscirne. Il modo di vivere quel tempo sta a noi sceglierlo.