Stavolta non se ne sono accorte le televisioni, sulle quali crisi scaccia crisi (sempre se non si parli delle perenni crisi nei palazzi del potere). Ma la tragedia nel Darfur, la regione occidentale sudanese teatro da oltre un decennio di una della maggiori emergenze umanitarie in atto nel mondo, ha avuto in questo 2013 un nuovo inasprimento. Secondo l’Ocha, l’ufficio dell’Onu per il coordinamento degli interventi umanitari, dall’inizio dell’anno le violenze tra gruppi etnici e i tribali e gli scontri tra movimenti ribelli e truppe sudanesi hanno causato non meno di altri 460.000 sfollati.
Nel Darfur l'Onu ha dispiegato per la prima volta una missione internazionale, l’Unamid, in collaborazione con un organismo regionale, l’Unione africana, ed è tuttora quella più numerosa, con oltre ventimila effettivi tra militari e poliziotti. Ma resta sostanzialmente irrisolta la spaventosa vicenda esplosa nel febbraio 2003 con l’insurrezione contemporanea dei due principali gruppi ribelli del Darfur, l’esercito di liberazione sudanese (Sla), poi divisosi in diverse fazioni, e il Movimento per la giustizia e l’eguaglianza (Jem) contro il Governo di Khartoum e, soprattutto, contro gli janjaweed, i miliziani arabi delle tribù nomadi dei Baggara, responsabili di sistematiche violenze contro le popolazioni autoctone della regione, con la connivenza, se non con il controllo del Governo stesso.
Soprattutto nei primi anni, il conflitto nel Darfur ebbe esiti spaventosi. Dopo un biennio, le stime dell’Onu erano di trecentomila morti e di più di due milioni e mezzo di profughi, tra sfollati interni e rifugiati all’estero, soprattutto in Ciad. Col tempo la situazione si è modificata, ma solo in parte. A fine 2012 profughi interni erano ancora oltre un milione e negli ultimi mesi sono ripresi i flussi di rifugiati oltre confine, oltre ad aumentare, appunto gli sfollati interni. All’inizio di maggio, una brusca ripresa delle violenze tra etnie contrapposte, in questo caso arabe, aveva provocato centotrenta morti e duemila feriti nella zona di Edd Al Fursan, a circa cento chilometri a sud ovest di Nyala, il capoluogo del Darfur meridionale. In aprile analoghi scontri avevano provocato oltre 50.000 profughi, molti dei quali riparati in Ciad.