Un passo in avanti nella ricerca di pace nel nord del Mali — non certo raggiunta nonostante l'enfasi posta da diversi soggetti internazionali sulle elezioni dello scorso luglio — sembra esserci stato nelle ultime ore, con l'avvio di colloqui nella capitale a Bamako tra le nuove autorità maliane e i principali gruppi armati dell'area. Ai colloqui non partecipano i gruppi di matrice fondamentalista islamica, il Movimento per l'unicità e il jihad nell'Africa occidentale (Mujao) e Al Qaeda per il Magheb islamico (Aqmi), che lo scorso anno avevano preso il controllo del territorio e che, peraltro, sono formati in maggioranza da miliziani non maliani.
Secondo quanto riferito dalla Misna, l'agenzia internazionale delle congregazioni missionarie, le parti si sono sedute allo stesso tavolo per la prima volta dalla firma degli accordi di Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso, con i quali il 18 giugno scorso s’impegnarono a cercare soluzioni pacifiche alla crisi.
Appena eletto, il nuovo presidente, Ibrahim Boubacar Keïta, che si insedia formalmente proprio questo mercoledì 18, aveva promesso dialogo nazionale sul nord, per instaurarvi sicurezza, buon governo e sviluppo, nell'ambito di un'ampia autonomia.
Per ora, si tratta di prime consultazioni in vista di un negoziato di pace globale che, entro due mesi, dovrebbe portare chiudere la vicenda esplosa nel gennaio del 2012 con l'insurrezione dei tuareg del Movimento nazionale per la liberazione dell'Azawad (Mnla).
All’incontro a Bamako, tenuto a porte chiuse, hanno partecipato rappresentanti dei movimenti armati tuareg e arabi, sia sedentari che nomadi, cioè lo stesso Mnla, il Movimento arabo dell’Azawad (Maa), l’Alto consiglio unificato dell’Azawad (Hcua) e il Fronte patriottico di resistenza (Fpr). La mediazione è stata affidata all’ex ministro della Cultura, Mohamed el Moctar, originario del nord, al rappresentante delle famiglie fondatrici di Bamako, Mamdou Bamou Touré, e a Daouda Maïga, che aveva contribuito a definire gli accordi di giugno.
Sempre secondo la Misna, l'avvio dei colloqui ha mostrato perdurante diffidenza, ma è stato globalmente sereno. Tuttavia, la situazione sul terreno resta incerta e critica. In particolare, prosegue la mobilitazione delle milizie dell’Mnla nella zona di Foïta, al confine con la Mauritania, teatro di pesanti scontri combattimenti la settimana scorsa. Inoltre a Kidal è stata interrotta una visita ministeriale per le proteste di giovani sostenitori dell’Mnla. Due ordigni sono esplosi all'arrivo del nuovo ministro della Riconciliazione nazionale e per lo Sviluppo delle regioni settentrionali, Oumar Diarrah, accompagnato da quelli della Sicurezza interna e dell'Amministrazione territoriale, entrambi militari, cioè il colonnello Sada Samaké e il generale Muossa Sinko Coulibaly. Subito dopo, i caschi blu della Minusma, la missione dell'Onu, hanno usato gas lacrimogeni per disperdere il corteo di simpatizzanti dell’Mnla che contestava i rappresentanti di Bamako.
Molti commentatori, peraltro, sostiengono che l'Mnla, con la minaccia reiterata nei giorni scorsi «annientare l’esercito maliano», stia in realtà solo cercando di aumentare le pressioni politiche su Keïta. In questo senso, per esempio, si esprime «L’Observateur Paalga», un quotidiano del Burkina Faso , particolarmente concentrato sulla questione dei rifugiati maliani. I due aspetti — violenze e flussi di profughi — come sempre sono infatti legati. , Negli ultimi mesi, tra l’altro, autorevoli fonti internazionali, dall'alto commissariato dell'Onu per i rifugiati alla Corte penale internazionale, hanno denunciato l'aumento di tensioni e violenze. Tuareg e arabi, in particolare, accusati da altri gruppi di sostenere la ribellione separatista, sono stati fatti oggetto di vendette da parte dei militari maliani, tutti appartenenti alle etnie nere del sud, che hanno affiancato i francesi nella riconquista delle regioni settentrionali. Come sempre accade, questo ha portato nuove ondate di profughi, sfollati interni o rifugiati all'estero.
Ed è soprattutto in queste situazioni che le posizioni più estremistiche trovano ascolto e proseliti. Oltre tutto, risultano tutt'altro che definitivamente sconfitte ed espulse dal nord del Mali le milizie del Mujao e dell'Aqmi. Contro di loro è in corso in queste ore nel deserto del Tilemsi, a nord di Gao, l'ennesima operazione di truppe francesi, il cui ritiro era stato più volte garantito entro lo scorso aprile.
Nonostante il positivo segnale venuto dall'avvio dei colloqui a Bamako, ci sono dunque abbastanza argomenti per dubitare che possa davvero ritenersi conclusa la transizione avviata dopo il colpo di Stato messo in atto il 22 marzo 2012 da reparti militari guidati dal capitano Amadou Haya Sanogo, che avevano rovesciato il presidente Amadou Toumani Touré. I golpisti erano stati poi costretti dalle pressioni internazionali ad accettare appunto una transizione, ma mantengono un'influenza determinante sul Governo.
Anche per questo, molti osservatori indicano sulla possibilità di un vero dialogo nazionale per ricostruire la pace ombre evidenti che la rioccupazione militare del nord non basterà certo a dissipare.
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Colloqui tra gruppi armati del nord e Governo
Il Mali ancora
in cerca di pace
17 settembre 2013 |