Sembrano almeno per il momento accantonate le divisioni all’interno dell’Unione europea su profughi e migranti, le cui terrificanti condizioni continuano a sfociare in tragedie nel Mediterraneo anche sul territorio europeo. La riunione a Bruxelles Il vertice dei capi di Stato e di Governo dei ventotto Paesi, che si sta concludendo a tarda notte, mentre scrivo, avrebbe infatti raggiunto l’obiettivo di ricucire le spaccature evidenziate nelle ultime settimane, almeno a quanto dichiarato dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Hanno avallato le decisioni anche Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Romania, che martedì avevano votato contro il piano di ridistribuzione dei profughi, approvato a maggioranza qualificata (ed è la prima volta che l'Ue su un tema sensibile non riesce a trovare l'unanimità, neppure un'unanimità al ribasso). «L’atmosfera è stata migliore delle mie attese. Sono soddisfatto», ha detto il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, mentre Tusk ha parlato di «momento simbolico» perché si è messo fine al «gioco rischioso del biasimo reciproco».
Fra le misure decise c’è quella di realizzare entro il mese di novembre al più tardi, i cosiddetti “hotspot” i centri nei quali le istituzioni comunitarie e le agenzie internazionali assisteranno le autorità dei Paesi di arrivo di profughi e migranti. Qui ci saranno identificazione e registrazione e saranno organizzate sia la ridistribuzione sia i rimpatri. I leader europei chiedono anche di «rispondere alle esigenze urgenti dei rifugiati nella regione aiutando l’alto commissario dell’Onu per i rifugiati, il Programma alimentare mondiale e le altre agenzie dell’Onu con almeno un milione aggiuntivo». Sembra tanto, ma di fatto è è una bazzecola.
Fuori dai confini europei è prevista l’assistenza per il Libano, la Giordania, la Turchia, il cui presidente sarà a Bruxelles il 5 ottobre, e gli altri Paesi alle prese con la crisi dei rifugiati siriani, anche attraverso un «aumento sostanziale» del fondo dedicato.
Si punta inoltre ad assistere i Paesi dei Balcani occidentali a gestire i flussi di rifugiati e ad aumentare i fondi per affrontare le cause delle migrazioni nei Paesi di origine (il solito “aiutiamoli a casa loro” che mai si è tradotto in politiche di autentica solidarietà, per esempio smettendo di fornire armi a Paesi che dovrebbero avere ben altri tipi di sostegno).
Ben maggiore convinzione traspare nell'intenzione di rafforzare la sorveglianza ai confini — «l’attuale caos alle nostre frontiere esterne deve finire. Siamo tutti d’accordo sulla necessità di recuperare il controllo dei nostri confini», ha detto Tusk — e di fornire fondi adeguati per i rimpatri dei migranti irregolari (rimpatriare i profughi non si può) ovviamente all'interno di un generico contenitore di «misure sulle tematiche connesse all’asilo e alle migrazioni».