L'Africa nei Caraibi


di Pierluigi Natalia

La violenza del terremoto si è abbattuta sul Paese più povero dell'intero emisfero occidentale. Haiti è uno degli esempi più crudi di violenza legata al sottosviluppo. E lo è praticamente da sempre. Nel 1804, fu il primo Stato caraibico indipendente - inizialmente possedimento spagnolo, era diventata colonia francese nel XVIi secolo - e la prima Repubblica a essere guidata da neri. All'indipendenza corrispose, però, l'avvio di un rapporto normale con le altre Nazioni, all'epoca in pratica tutte schiaviste. Per tutto l'Ottocento Haiti ha scontato un sottosviluppo legato alla sua marginalizzazione, politica innanzitutto, ma anche dai grandi mutamenti scientifici ed economici che segnarono quel secolo e il successivo. Non pochi studiosi tracciano un parallelo con quanto, diversi decenni più tardi, sarebbe accaduto con il ritorno in Africa di ex schiavi statunitensi e con la costituzione della Liberia. E analoghe considerazioni potrebbero farsi sulle vicende postcoloniali di gran parte dell'Africa nella seconda metà del secolo scorso, con conseguenze che permangono tragiche e irrisolte.
Da due secoli, Haiti è un esempio di economia - basata essenzialmente sulle grandi coltivazioni agricole, senza un'industria di trasformazione - costretta a subire un contesto commerciale internazionale che stabilisce i prezzi in base agli interessi dei compratori. Al tempo stesso, contrariamente a quanto si registrava nell'Ottocento e nel Novecento nel resto del continente, all'affrancamento dalla schiavitù non è seguito l'avvio, sia pur faticoso, di uno sviluppo sociale e culturale. Persino l'affermarsi e il persistere del voodoo, un misto di credenze nato tra gli ex schiavi, resterà per due secoli un segno di quella emarginazione.
Anche nella seconda parte del Novecento e in questo primo decennio del Duemila, il Paese - che avrebbe potuto trasformarsi in meta turistica privilegiata per la sua posizione geografica - si è trovato in continua difficoltà e instabilità. Sotto controllo statunitense tra il 1915 ed il 1934, Haiti ha vissuto subito dopo 29 anni di brutale dittatura a opera di François Duvalier, chiamato Papa Doc, e del figlio, Jean-Claude, detto Baby Doc. Decine di migliaia di persone sono state uccise durante il loro regime. Nel 1990 è stato eletto presidente Jean-Bertrand Aristide, un ex ecclesiastico, poco dopo rovesciato dai militari, reinsediato nel 1994 da un intervento armato statunitense e nel 2004 costretto all'esilio da un nuovo colpo di Stato. Oggi il Paese è guidato da René Préval, già capo di Stato dal 1996 al 2001, quando fu il primo presidente a lasciare il potere spontaneamente, alla fine del suo mandato. Ad Haiti è stanziata una forza di stabilizzazione dell'Onu, la Minustah, capeggiata dal Brasile e forte di 1.200 uomini. Ciò nonostante, non sono mai venute meno le violenze tra bande armate rivali e gruppi politici opposti che hanno fatto parlare l'Onu di situazione dei diritti umani catastrofica.
In questo contesto, ancora oggi, nonostante le cospicue esportazioni di zucchero, caffè, banane e mango, Haiti rimane uno dei Paesi più arretrati del mondo. La disoccupazione colpisce oltre il 60 per cento della popolazione. Gli haitiani hanno un reddito annuale pro capite di 1.300 dollari - tra i più bassi al mondo e il minore in America - e soprattutto hanno un'aspettativa di vita bassissima, valutata a circa cinquant'anni. Secondo le stime internazionali - ad esempio quelle del World Factbook della Cia - solo il 3,4 per cento dei circa nove milioni di haitiani ha speranza di superare i 64 anni di età. Il tasso di alfabetizzazione è del 45 per cento.
Haiti è spesso sconvolta da uragani, che provocano morte e distruzione. Nel 2008, se ne sono abbattuti quattro (Fay, Gustav, Hanna e Ike) in un mese, in quella che era stata finora la principale catastrofe degli ultimi anni. In questo contesto segnato da povertà, violenze e instabilità politica, il terremoto è stato ancora più devastante.



(©L'Osservatore Romano 16 gennaio 2010)
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